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Quello che i sommelier non dicono: curiosità e consigli sul mondo dei vini rosa 

Che cosa beviamo sotto l’ombrellone? Oppure nella frescura delle montagne, nelle città d’arte in giro per il mondo, sulle rive dei fiumi e dei laghi? Vi proponiamo il rosé. Considerato da sempre un vino estivo, ormai ufficialmente destagionalizzato, d’estate si fa apprezzare in modo particolare: va bevuto sempre fresco.

Non ci mettiamo più a discutere della percezione, da parte ahimè di tanti, del rosato come vino di serie B, per un semplice motivo: è una credenza che ha del vero nel passato ma che ora è del tutto superata. Anzi, sembrerebbe che il rosato stesse entrando nel suo Golden age, grazie all’impegno dei produttori appassionati e responsabili. Non si tratta più di un prodotto di ripiego né del vino per femminucce bionde, ma è frutto di una filosofia produttiva di un’azienda a prescindere dal suo colore.

Ovviamente, sugli scaffali dei supermercati si trovano pure rosati degni di essere dimenticati, ma questo riguarda anche vini bianchi e rossi.

Prima di tutto, spieghiamo brevemente come il vino rosato è fatto. Principalmente si usano due metodi:

  • Breve macerazione di uve rosse. Breve lo è proprio per estrarre una quantità limitata del colore dalle bucce dell’uva e invece abbastanza aromi varietali. Dopo si procede con la fermentazione e la vinificazione tipica dei vini bianchi. Si usa a volte chiamarli vini di una notte o vini di un giorno, riferendosi alle ore di macerazione, rispettivamente 12 o a 24. La maggior parte dei vini rosati sono fatti con questa tecnica.
  • Il “Salasso” aka “sanguinamento” aka saignée in francese è una tecnica di prelievo (perciò questo rimando al settore medico). In pratica, si preleva, dalla vasca con le uve rosse in macerazione, una piccola parte del mosto destinato alla produzione del vino rosso. Da qui lavinificazione come per il bianco.

Non si usa mai, invece, miscelare vino bianco con vino rosso per produrre un rosato fermo. Questo metodo è ammesso solo per gli spumanti rosé.

Perché bere il vino rosato? Semplice: perché può essere veramente buono; perché, quando è buono, è un vino da tutto pasto, non sfigura né come aperitivo né quando fa le veci del rosso con un piatto di carne; perché va di moda; perché si stupisce più con un rosé notevole che con un bianco o un rosso; perché si abbina ai cibi speziati come nessun altro.

A questo punto, quale rosato scegliere? Ci sono vari stili di questo vino e noi, in Italia, siamo fortunati perché ne abbiamo tutti o quasi (magari non abbiamo White Zinfandel e non è un fatto negativo). I colori del rosé spaziano dal rosa pallido al ruggine, passando per le tonalità peonia, lampone, fragola, ciliegia, buccia di cipolla, rosa aranciato, salmone e corallo. Sono caldi e avvolgenti i rosati della Puglia, intensi e profondi i Cerasuoli d’Abruzzo, rinfrescanti i Chiaretti di Garda e così via. Ora ci sono anche vinificazioni spontanee che danno vita ai rosati dal carattere deciso, dinamico e sensuale, e beneficiano – udite udite! – di permanenza, per qualche anno, in cantina. Come, per esempio, L’Ombra di Rosa del Podere di Luisa (Toscana) fatto con uve Sangiovese dalle vecchie vigne, 18 ore di macerazione circa e salasso. Oppure, Barrosu Rosato di Giovanni Montisci, vino sardo da uve Cannonau, senza filtrazioni né stabilizzazioni.

Eh sì, vi regaliamo una nostra selezione dei migliori rosé del 2019, senza stipulare una classifica. Questo perché sono tutti veramente buoni ma quali siano i migliori dipende dal gusto personale.

Molto fresco e di facile beva è l’alto-atesino Lagrein Kretzer di Larcherhof; speziato e agrumato il pugliese Girofle da uve Negroamaro di Severino Garofano; sottile e salino il calabrese Gaglioppo Rosato ‘A Vita, ricco di frutta e sapido allo stesso tempo il Cerasuolo d’Abruzzo “Vigneto di Sant’Eusanio” di Valle Reale; vulcanico e tagliente Angelina Aglianico della Tenuta le Querce in Basilicata; magnifico è il marchigiano Sant’Isidoro di Maria Pia Castelli, blend di uve Sangiovese e Montepulciano con profumi di macchia mediterranea; floreale e succoso, come quasi un rosso, l’etneo Rosso Relativo di Valcerasa da Nerello Mascalese; gran corpo sfoggia anche Tauma di Pettinella (Montepulciano d’Abruzzo), tanto da dover essere aperto un’oretta prima per far godere della sua ricchissima aromaticità, sostenuta da salinità gustativa; altro siciliano, Rosato di Bonavita, è leggermente tannico e sa di tanti piccoli frutti rossi.

E in quanto a bollicine, eccovi due vere chicche, molto diverse tra di loro: Galanta Rosé Brut, bollicina nelle migliori tradizioni di Champagne dei vigneron che Gianluca Ruiz de Cardenas produce con passione sulle colline dell’Oltrepò Pavese e il Pet-Nat Raspato di Francesco Annesanti, semplice e divertente, prodotto con altrettanta passione nella splendida Valnerina.

Buon rosé, amici!



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