Devo ammetterlo: mi mancava questa aria “asiatica”.
Il mese passato in Cina, tra alti e bassi, mi ha segnato. E’ proprio vero che quando vedi questi posti, poi, fai davvero molta fatica a dimenticarli.
Immaginate, quindi, quanto mi sentissi impaziente di visitare il Giappone. La sua cultura, i suoi profumi, i suoi sapori.
Bellissimo fantasticare. Fino a quando qualcuno ti riporta sulla terra: in questo caso il mio editore, Stefano Cocco. Tutto attraverso il trillo di un telefono.
– Ciao Uomo delle Stelle – esordisce.
– Ho paura Stefano – rispondo io senza nemmeno salutare.
– Del futuro? – mi prende in giro.
– Direi di no. Ho paura di che cosa hai in serbo per me: solitamente comunichiamo per messaggi. Quando mi mandi audio su Whatsapp o addirittura chiami, non si prospetta mai nulla di semplice all’orizzonte –
Stefano ride di gusto. Prima di tornare improvvisamente serio:
– Fai bene ad essere un po’ nervoso: voglio che torni in Italia –
– A fare cosa?! – urlo allibito.
– Siamo stati invitati alla presentazione della Guida Michelin 2018. Direi che non puoi mancare –
– Eh direi – ammetto io – e il Giappone? I ristoranti prenotati? –
– Toccata e fuga, man – mi rassicura – poi giuro che ti lascio un’intera settimana per raccontarci tutta la tua esperienza all’ombra del Sol Levante –
– Mi pare un tempo sufficiente – ironizzo – in fondo in Giappone sono “solo” ventotto i tristellati –
– Accontentati. Più avanti ci torneremo: è una promessa… –
Una settimana, dunque. Quanta grazia! Non mi nascondo: con voi proprio non posso farlo. Visiterò solo cinque ristoranti: quattro a Kyoto e uno a Tokyo. Decido di partire dalla Capitale, dandomi un’unica regola: mangiare solo in quelli che fanno cucina locale. La kaiseki quella proposta da Kanda di chef Hiroyuki Kanda.
La prima cosa che noto di questo locale è la difficoltà di localizzazione. Il ristorante, infatti, non è semplicissimo da trovare: si trova in una strada residenziale e l’entrata è raggiungibile solo attraversando la porta di un condominio.
La sala si compone di due stanze: quella principale, con il classico bancone in legno, dove mangiare di fronte ai cuochi intenti a cucinare e un’altra più appartata che potrà contenere un massimo di otto commensali. Ottima per cene di lavoro o feste private.
Il bancone mi appare meraviglioso: chef Kanda fa tutto al momento, permettendosi preparazioni anche molto scenografiche. Amo i suoi coltelli: sono meravigliosi, realizzati da artigiani fantastici che per tutta la vita non fanno altro che produrre oggetti utili a tagliare il cibo con una precisione maniacale. La stessa che il cuoco usa nel dare vita ai suoi piatti e nel controllare, con il suo occhio che vigile, che tutto proceda nel modo migliore e che i clienti mangino bene, in modo che le lamentele siano ridotte al minimo. E’ un’arte: talmente tanto affascinante che mi spinge ad acquistare un set di coltelli. Passeranno i controlli all’aeroporto? Non mi interessa: sono troppo belli. Devo averli!
Prima di cominciare a degustare i piatti di Kanda mi perdo nello studio della carta dei vini: piena, profonda, ricca di cantine francesi e italiane. Mi colpiscono soprattutto le bottiglie rare, quelle costose, che arrivano da territori molto lontani.
Si comincia a fare sul serio: la prima pietanza che arriva davanti ai miei occhi si compone di una ciotola, riempita da un sughetto e due piccoli pezzi di cernia. Ottimo nel gusto, forse un po’ troppo semplice nella preparazione.
Continuiamo: anelli di totano fritti in tempura, conditi con aneto fresco. Poi pesciolini crudi preparati come fossero una tartare e del pesce sfilettato (operazione che viene fatta proprio sotto il naso dei clienti). Il pesce è freschissimo. Arriva sul piatto praticamente vivo: per questo è molto più duro, contrito. Sembra carne. Assaggio anche alghe fritte, wasabi e erba giapponese.
Prima di passare alle pietanze successive sorseggio un bicchiere di Le Petit Arlot del 2010: intenso ma dalla consistenza morbida, questo rosso si caratterizza per i suoi sentori di bacche rosse e per un gusto equilibrato e fresco.
E’ il momento del sashimi di tonno: è davvero molto bello, di una rosa chiarissimo. Poi una crocchetta di merluzzo fritta, con sopra delle foglie di tartufo proveniente dalla Borgogna.
Assaggio, infine, il piatto forse più riuscito dell’intero menù: una fettina di pane ricoperta di fegato di tonno, bottarga di tonno, salsa bernese e tre pezzettini di carne di wagyu. Delizioso.
Proseguiamo con una salsa al limone e tuberi simili alle rape bianche, molto cotte e molto morbide, vicini alla patata americana per consistenza e gusto. Poi una spuma di funghi, accompagnata da riso, gelatina di pesce e tartufo nero. Davvero apprezzabile.
Come dolce mi viene servita una gelatina di fiori di loto con licis e un dolcissimo sorbetto al pompelmo. Spiazzante.
Non posso evitare di raccontarlo: non sono stato in grado di apprezzare tutto benissimo. Il motivo è chiaro: non conosco questa realtà. Quello che posso dire è che mangiare in ristoranti simili rappresenta davvero un’esperienza interessante e formativa. Mi ha colpito la velocità dei pasti: durano pochissimo. Non essendoci nulla da cuocere o quasi, la preparazione è praticamente immediata.
Tra le note positive impossibile non citare l’accoglienza. Non rappresenta una qualità esclusiva di Kanda, anzi, è una premura rintracciabile in ogni angolo del Giappone. Ogni persona che si incontra per strada tratta il prossimo come fosse un dono. Meglio: una divinità. E’ mortificante, ad esempio, chiedere indicazioni e vedere la contrizione delle persone che non sanno come aiutarti.
Che paese il Giappone…
Voto finale quattro barbe.