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“La più consistente scoperta che ho fatto pochi giorni dopo aver compiuto sessantacinque anni è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare”

(La Grande Bellezza – 2013)

L’acqua mi bagna la testa. Me la lascio scendere sul collo, la nuca, le braccia: è calda e profumata. La sento scivolarmi lungo il corpo e mentre mi scopro a valutarne ogni caratteristica, avverto la mia mente volare via. L’acqua è vita, cambiamento, rivoluzione. Questa, poi… Ne apprezzo ogni sfumatura di colore che le regalano i faretti. Ne amo la consistenza timerizzata: le gocce fini fini che ti pungono e quelle grosse grosse che ti ammaccano.

Se la doccia normalmente, specie di mattina, rappresenta per me una sorta di camera gestazionale, un ritorno all’utero materno dove pensare e dove spesso riesco a dare vita alle idee più interessanti, quella emozionale della SPA mi consente di ricordare. Di rivivere sulla pelle le emozioni di una giornata ormai agli sgoccioli ma che sommando ogni componente merita un 10+. Almeno per l’esperienza vissuta. Ma andiamo per ordine.

Mi trovo in Germania, a Rottach-Egern, piccola città della Baviera sulle sponde del Tegernsee, uno splendido lago che ha come sfondo le Alpi bavaresi. Qui ha sede il ristorante tristellato Uberfahrt, ospitato nell’hotel extralusso 5 stelle Althoff Seehotel. Quello diretto dallo chef Christian Jurgens non è il primo locale stellato “custodito” all’interno di questa catena d’alberghi: tra i più famosi (e tra quelli che ho già visitato) ad esempio c’è Vendome di Joachim Wissler.

L’hotel Althoff è chiaramente l’unico hotel 5 stelle di questa cittadina: oltre che dagli ospiti, è molto frequentato anche dagli abitanti delle case circostanti. Il motivo è presto spiegato: diverse persone lo utilizzano come meta per le vacanze, per riposarsi senza allontanarsi troppo dalla città. Il venerdì, poi, l’Althoff offre champagne gratis a chiunque passi da quelle parti, ragione che nel fine settimana trasforma l’albergo in una sorta di piazzetta del paese dove tutti si ritrovano per parlare e brindare.

Al suo interno, l’Althoff Seehotel vanta una meravigliosa SPA: è possibile provarla anche parallelamente all’esperienza enogastronomica dell’Uberfhart. E’ quello che faccio io, acquistando un pacchetto che permette di utilizzare le terme dalle 10 di mattina alle 20 di sera e di mangiare al ristorante. Il locale di chef Jurgens è solo uno dei tre che si trovano nell’albergo di Rottach-Egern e probabilmente anche il meno frequentato. Trovandosi all’interno della struttura, non affaccia direttamente sul lago, ma può comunque vantare una vista bellissima su un parco e una sala fine ed elegante. In uno spazio capace di ospitare fino a una trentina di commensali, quello che mi colpisce subito sono i tavoli senza tovaglia che consentono di mangiare direttamente sul legno. Sedendomi al mio posto vengo accolto da una sorta di aperitivo: delle chips di bacon e pane, dell’acqua e un sasso, raccolto direttamente dal letto di uno degli affluenti del Tegernsee, con formaggio fresco di capra e una mousse verde a ricreare dell’erba e dei fiorellini commestibili.

Tra i vari menù proposti scelgo quello classico con 6 portate. Come al solito si comincia con una serie di amuse bouche: un tronco di legno con due tartine di verza, simile a due polpettine, due cappelli di funghi, l’uno sovrapposto all’altro, quinoa croccante, una mousse di arachidi, anche leggermente acida e due altre chips di caviale al limone e gamberetti. Un piatto bello e colorito. Poi l’aglio, che come spesso capita aglio non è: costituito da cioccolata bianca finissima, ha alla base una cremina di formaggio e altro formaggio all’interno della “costruzione”.

In attesa dei primi piatti mi dedico allo “studio” della carta dei vini: ne apprezzo il formato, più piccolo rispetto a quelli che ho incontrato nelle altre tappe del mio viaggio e anche la scelta delle etichette. Ridotta ma eccellente. Opto per la degustazione e mi preparo ad assaggiare una serie di bottiglie. Un Pouilly Fumè del 2016: un bianco fresco e giovane, espressione del Sauvignon della Loira, dal profilo elegante e dai sentori, al naso, di agrumi, fiori e frutta gialla. Poi un Grand Cru Hengst del 2012: un Pinot Grigio voluminoso, speziato con un finale piuttosto dolce. Un Alvarinho Trocken del 2016: altro bianco denso e di carattere, con un retrogusto molto legato alla frutta. Un Weingut Seehof Cuvée Hügelland Beerenauslese del 2010: con aromi di mele cotogne e albicocche, vanta una trama spessa e vagamente acida. Un Domaine Tempier Bandol del 2012: una base di frutti scuri, fiori ed erbe, presenta una certa profondità terrosa e fumosa che colpisce prima il naso e poi il palato. Infine uno Château Carbonnieux Pessac-Léognan: vino davvero molto intenso, dai profumi ricchi e dal sapore fresco e acido. Il finale è la parte più piacevole.

Passiamo ai piatti: il è un omaggio al compositore bavarese Dieter Kaufmann. Si tratta di una mousse di storione con un succo di cetriolo, preparato come fosse un Gin Fizz, con sopra il caviale imperiale Persicus: è un ingrediente che si può scegliere se metterlo o no e chiaramente prevede un sovraccosto di quattro euro al grammo.

Del secondo piatto Hong Kong Cray Fish Tea mi colpisce lo strumento di preparazione: utilizzato solitamente per preparare il caffè, viene invece impiegato per dare vita a un fumetto di pesce aromatizzato, preparato direttamente al tavolo. Il piatto, di un bianco meraviglioso, presenta uno scampo crudo, adornato da funghetti, carote, diverse erbe, del caviale al limone, una riduzione di aceto balsamico, una mousse di formaggio. Tutto viene annacquato da questo fumetto di pesce, dal sapore molto acido, che va mischiato al resto e mangiato col cucchiaio. Davvero un’ottima portata.

Passiamo poi al Tarte Saint Tropez: una tartina di pane, con un disco di pomodoro alla brace ricoperto da una mousse di basilico e una triglia di scoglio con pelle croccante. Mi sembra un ottimo compromesso. Non apprezzo moltissimo il pomodoro tagliato a disco (sembra un po’ staccato rispetto al resto del piatto) ma il risultato finale non è affatto male.

Arriviamo, poi, alla portata top: uno dei migliori piatti assaggiati in vita mia. Parlo del The Cube: un blocco di patate, con petali di tartufo, una mousse di tartufo e una crema di funghi. La particolarità di questa pietanza è all’interno del cubo di patate, che quando viene aperto lascia uscire il rosso del tuorlo d’uovo. Squisito.

Chiudiamo con il Good Hunting: carne di cervo, rapa rosa, scalogni, sidro di mele ridotto, poi prezzemolo, sale, pepe e il foie gras tritato finemente.

E’ il momento del dessert: Vineyard Peach. Una pesca tagliata a metà, con la base ricoperta di gelatina di vino rosso e pezzettini di croccante con mascarpone. Bellissimo a vedersi, risulta ancora più buono al palato.

Dopo la visita ai bagni (puliti e meravigliosi, anche perché interni all’hotel) mi dedico alla piccola pasticceria: al tavolo viene portata una cassetta con due o tre piantine. La cameriera, italiana e gentilissima, mi chiede che patata voglio. E’ fatta di pan di spagna al cioccolato, con piccole perle di biscotto alle quali viene aggiunta una mousse di crema e di formaggio dolce. Anche la terra, nella quale sono piantate queste “patate” non è altro che cioccolato macinato. Un’idea fantastica.

Le due note negative di questa esperienza (che ripeto continuo a valutare da 10+) è nel conto, veramente fuori dal mercato e nell’atteggiamento di chef Jurgens: troppo frettoloso nel confrontarsi con i suoi commensali. Davvero un comportamento poco stellato. Ci penserò tornando nella SPA: ho ancora diverse ore di relax davanti a me. Mi serviranno per preparare il prossimo viaggio e per far nascere nuove idee. In fondo è nella natura dell’Uomo delle Stelle essere sempre in movimento.

Voto finale: tre barbe e mezza.

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