Trattorie, ovvero espressione dell’italianità
Eravamo il paese delle trattorie, quelle che ti davano rifugio nelle sere d’inverno o nelle calde giornate d’estate. Dove sapevi di trovare atmosfera e cordialità, insieme a piatti ispirati al territorio, in alcuni casi eccellenti. Erano l’espressione dell’italianità e delle sue declinazioni regionali: molte di loro ancora sono dei vertici indiscussi, grazie anche a una attenta selezione di etichette iconiche.
Ora siamo diventati il paese delle catene, piatte e omologate, che hanno aperto in ogni dove, dalle metropoli ai centri minori, uniformando le proposte o meglio creando un gusto apparentemente condiviso dalla generalità dei consumatori (anche per una questione di prezzi). Sì, se ti viene voglia di un piatto della tradizione, fatto a regola d’arte, hai sempre meno ancoraggi sui quali poter contare, senza nulla togliere a grandi chef di cui parliamo e scriviamo su ogni numero del nostro magazine.
Catene da una parte e stellati dall’altra. Bravi e bravissimi, questi ultimi, non si discute: ma se sei alla ricerca di una cosa buona, golosa, succulenta, spesso avresti voglia di approdare in uno di quei luoghi del cuore, semplici e schietti. Dove sai di essere accolto con amore nell’ambiente in cui desideravi di essere in quel preciso momento.
Continuità di generazione
E di ordinare quel piatto sempre presente in carta, che non ti deluderà. Perché a muoverti non è la moda o l’immagine ma la pura oralità, il desiderio assoluto di piacere. Le trattorie erano (e ancora sono, almeno le migliori rimaste in piedi) l’ossatura dell’offerta di ristorazione e, facendo i doverosi distinguo, rappresentavano l’espressione sociale più profonda dell’imprenditorialità familiare.
Quella che si chiamava “continuità delle generazioni”. Prima che i fondi (finanza) e le catene di ristorazione invadessero la scena, era il valore del lavoro e della famiglia a dominare. E le trattorie ne erano il degno esempio. Ognuno aveva il suo ruolo e sapeva di dover dare il massimo per raggiungere risultati tangibili.
Dall’impegno di tutti nascevano i successi.La ristorazione, per certi versi,
era un’orchestra…
Ora non è più così, salvo le tante eccezioni (delle quali peraltro le guide si occupano distrattamente o addirittura neppure citano). All’etica del lavoro sembra vada sostituendosi l’etica del profitto, che è raggiungibile soprattutto grazie a solide basi finanziarie. E grazie all’acquisizione di vecchie strutture storiche da parte di una finanza aggressiva. Negli altri casi, nella migliore delle ipotesi si lavora per sopravvivere, al netto di tasse, costi e spese fisse. E l’ invadenza di format sintetici, capaci (non sempre) di attirare investitori, ha ormai trasfigurato le nostre aree urbane.