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Stefano Franzon, Bartender non si nasce… si diventa

Dopo diverse esperienze all’estero, tra le quali il Ritz Hotel di Londra, Sydney e Barcellona, il barman di Rovigo approda a Roma: da settembre serve cocktail al My Martini

Stefano Franzon, originario di Rovigo, è il Bartender di My Martini a Roma. All’età di 9 anni capì che da grande avrebbe fatto il barman e così è stato. Dopo varie esperienze all’estero fra cui il Rivoli del Ritz Hotel di Londra, Sydney e Barcellona, da settembre è tornato a lavorare in Italia, precisamente a Roma al My Martini. La sua filosofia è semplice: bere bene usando pochi ma ottimi ingredienti che rendono unico ogni drink. Dialogare con un cliente, instaurare un rapporto è fondamentale per capirne i gusti, le sensazioni e quindi creare il cocktail apposito.

Partendo con una domanda semplice semplice… Cocktail preferito?

L’Old Fashioned. Molto, però, dipende dal periodo e dal momento: quando esco con gli amici ci sta che bevo birra o vino”.

Quando ha realizzato il suo primo cocktail cosa ha provato?

“Era un “Americano” e la prima cosa che pensai fu: come faccio a ricordare tutti gli ingredienti? E’ impossibile!”

Qual è il suo segreto?

“Non ne ho, sono così come mi si vede: ho solo molta passione e curiosità. Ascolto molto i consigli, soprattutto da chi ha un’ottima conoscenza e buoni gusti in fatto di cocktail. Di solito faccio provare le mie creazioni a chiunque e valuto molto la  loro espressione al primo sorso. Cerco di capirne le sensazioni perché ad ognuno di noi un cocktail con i suoi profumi e sapori può farci tornare alla mente ricordi, la maggior parte belli.

Ha un bartender di riferimento? Insomma un modello da seguire?

“No. Penso che ognuno debba seguire la propria linea. Per esempio a me piacciono cocktails semplici con pochi ingredienti e uso pochissimo i prodotti modificati come infusioni o altro. Tutti i barman, dal più esperto al principiante, ti possono insegnare qualcosa, sta a te poi assorbire tutto come una spugna e farne buon uso alcune volte dando ragione anche all’ultimo arrivato”.

Secondo lei quali sono le caratteristiche che deve avere un perfetto bartender?

“Deve saper fare da bere… bene! In realtà nessuno è perfetto, però, l’esperienza e la continua formazione aiutano a creare un’ottima figura professionale. Un bravo bartender deve essere in grado di trasmettere le  proprie emozioni, belle, ai clienti… e lo fa tramite i cocktails! Ogni drink, la scelta degli ingredienti, racconta qualcosa. Un vero bartender poi, parla con le persone, cerca di capirne i gusti e consigliare il cocktail più adatto”.

Quando si assaggia un cocktail, qual è il primo senso che deve essere soddisfatto? La vista, il gusto o l’olfatto?

“La prima cosa che noto in un cocktail sono i dettagli e l’inventiva che viene trasmessa dal Bartender nel bicchiere, quindi direi che la parte “visiva”, per me, conta molto. Anche se è una semplice buccia di arancia che però è tagliata con cura e non solo buttata sopra per me va bene. Basta vedere che l’hai messa lì per un motivo e non perché va così”.

Cosa  consiglia ai più giovani che si vogliono affacciare al mondo della mixology?

“Sono stato fortunato: ho deciso molto presto di voler fare questo lavoro. Quello che consiglio è una scuola alberghiera professionale, che da sempre ottime basi di partenza, i corsi (ancora oggi ne sto facendo) e infine tanta passione e curiosità. Noi lavoriamo quando gli altri festeggiano e questo è risaputo. E’ un mestiere faticoso ma l’importante è non perdere mai la voglia di crescere. Questo è l’80% di un Bartender”.

Per diventare un bravo bartender è più importante avere la tecnica, l’estro creativo ed artistico o la base?

“Servono delle basi solide, quindi occorre studiare e aggiornarsi. Ovviamente ci sono delle eccezioni! Ho avuto la fortuna di conoscere persone con un’enorme curiosità e passione per il mondo della mixology che nonostante non avessero frequentato alcuna scuola del settore sono stati in grado di apprendere dai professionisti. Poi ognuno di noi ha l’estro creativo (chi più chi meno) e la fantasia per creare qualcosa. Certo un minimo di tecnica serve: è sempre bello da vedere un bartender elegante e pulito sia che abbia un metodo classico sia che faccia flair, che usi i jiger oppure che  vada a free pouring”.

Secondo lei qual sono le tendenze e le novità del momento nel mondo della mixology?

“Le tendenze sono davvero tante ma quello su cui mi voglio soffermare è sempre lo stesso punto: BERE BENE. La mia è una vera e propria speranza… Il mio auspicio è che la gente quando esce per andare in un locale possa scoprire sempre etichette nuove, di nicchia e non le solite viste e riviste…. con la conseguenza che ordina sempre “il solito”.   La gente va stimolata a provare nuovi sapori, e di conseguenza invita noi del settore a ricercare prodotti nuovi,  esclusivi e di nicchia. Insomma noi aiutiamo il cliente a bere bene e loro ci aiutano a crescere professionalmente stimolandoci sempre di più”.



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