Skip to main content

Non amo gli scherzi.

O meglio. Non amo gli scherzi stupidi.

E soprattutto non amo i giochi che si fanno con le mani. Dai, che li conoscete anche voi. Chissà quante volte vi sarete cimentati nel classico “schiaffo del soldato” o in qualcosa di molto simile: tipo dita che formano cerchi, cazzotti sulle spalle, sberle dietro al collo e via così.

Ecco, è giusto che lo sappiate: non saremmo stati mai amici. Poco male, penserete voi. E in fondo, come darvi torto?

Però, ad esempio, ho sempre amato le sorprese.

No, non quelle in cui qualcuno compare dal nulla e ti urla in faccia. Non quella roba lì. Però, imbattermi nelle cose che non mi aspetto, sì, quello mi piace. Mi accende. Non serve urlare “sorpresa”. Non serve che la “novità” sia nascosta dentro della carta regalo o che il pacco sia così grande da richiedere una grande fatica per sollevarlo. Basta una frase in un libro, una nuova canzone, una persona che non conosci e che improvvisamente diventa familiare. Una persona che, senza nessuno le chieda nulla, riesce ad affrescare una scena in cui lo sfondo perde d’importanza. Il mondo smette di girare. E l’universo intero si ferma in quell’istante. A sussurrarti all’orecchio: sei nel “tuo” posto. Benvenuto.

Oggi mi è successo due volte. In due precise occasioni.

La prima: ora “sorpresa” lo grido io a voi. Sono in Australia. A Melbourne. Ricordate? Ve lo avevo accennato qualche settimana fa. Ma, giustamente, vi sarà passato di mente. Per poco non accadeva anche a me. Sono salito sul volo transoceanico proprio in extremis, per il rotto della cuffia….

La seconda: per la serie certi amori fanno dei giri immensi/ma poi ritornano (cit.), eccomi nel mio posto nel mondo. Si chiama Dinner ed è il ristorante australiano di quel genio di Heston Blumenthal.

Le nostre strade si erano già incrociate in estate: a Bray dove ha sede il suo Fat Duck. Quello inglese è stato uno dei migliori ristoranti tristellati, se non il migliore in assoluto, in cui ho avuto la fortuna di mangiare. Raggiunta l’Australia non potevo evitare di cominciare il mio “nuovo viaggio” da Blumenthal.

Lo dovevo a lui e lo dovevo soprattutto a me stesso.

Dinner si trova all’interno delle Crown Towers: un hotel extralusso dotato anche di casinò. La location è da brividi: il locale è interamente a vetri. Alcuni danno sulla città e sul fiume che costeggia il palazzo. Gli altri sono quelli che permettono di osservare con attenzione la cucina e la sua brigata di 25 persone!

Li guardo con attenzione: il tavolo che mi è stato riservato, infatti, è proprio di fronte alla squadra di Blumenthal. Mi colpisce una specie di camino alimentato a legna: sopra il fuoco ci sono alcune ananas pelate. Producono un succo, un sidro, una sorta di caramello che verrà poi utilizzato nella preparazione dei dolci.

Così come accade per il Fat Duck, anche Dinner ha un suo concept ben preciso: la storia. Ogni piatto, infatti, appartiene ad una determinata epoca storica, come a formare un lungo percorso capace di proporti sapori forse dimenticati.

Come starter, e quindi come antipasto, scelgo due portate: Meat Fruit del 1500 e Salamagundy del 1720. Il primo piatto è composto da un mandarino ricostruito con al suo interno del fegato di pollo accompagnato da una fetta di pane cotto sulla griglia. Il secondo, invece, si costituisce di pollo, radicchio brasato, erbe e arachidi in salamoia. Ottima scelta per cominciare.

Passiamo alla portata principale: il roast Lamb & Cucumber del 1830. Agnello con cetrioli, spinaci, rapa rossa servita in diversi modi e una quenelle sempre di rapa.

Poi il secondo main, il roast Groper & Green Sauce del 1400: pesce, cipolle e cozze. Scelta interessante.

Chiudiamo con i dolci: la tipsy cake ovvero la famosa torta, di cui vi parlavo in precedenza, costruita con il sidro dell’ananas cotta al fuoco del camino. Una ricetta del 1810. E il Gingerbread Ice Cream, portata del 1810, con alla base una meringa all’italiana fatta con zenzero e ripiena di pera, cioccolato e gelato al caramello.

Considerando la location, il servizio, la qualità della cucina di Blumenthal, il costo e anche il vino (un Farrside by Farr del 2012: un pinot nero carnoso, profondo e dal gusto molto minerale) non credo che si possano dare più di tre barbe al Dinner.

Per citare De Gregori: “Il ragazzo si farà, anche se ha le spalle strette”.

Tornerò quando sarà cresciuto.

Voto finale 3 barbe.

 

Leave a Reply

2 × 2 =

Close Menu

So Wine So Food

I più grandi chef, le tendenze internazionali, gli eventi più trendy e le cantine migliori in territorio nazionale e internazionale.

Project by K-Lab Project

© 2015 SOWINESOFOOD
Iscrizione al registro stampa del
tribunale di Velletri (Roma) N. 15/2016 del 18/08/2016

T: 0691516050
E: info@sowinesofood.it