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“Creativo con sobrietà”, si autodefinisce Roberto Proto, chef patron del Saraceno di Cavernago (Bg). I suoi piatti, ricchi ma essenziali, sono un esempio di apoteosi del gusto

Parte dalla Costiera Amalfitana la storia della famiglia Proto, da quando nel lontano 1972 il padre di Roberto, lo chef, da Vettica (frazione di Amalfi) si trasferì al nord, in terra bergamasca. Qui a Cavernago la famiglia apri un’attività di ristorazione, una semplice trattoria destinata ad evolversi negli anni, fino a perfezionare l’offerta in chiave gourmet (e usiamolo, questo termine, almeno quando è appropriato).

Ricerca e selezione delle materie prime

Dal 2007 in poi, al Saraceno è un crescendo di progetti, di miglioramenti, di ricerca e selezione delle materie prime, ma anche di coraggio e visione. Roberto, con la moglie Maria, è fortemente determinato a lavorare sulla qualità, definendo una linea di cucina non scontata, lontana tanto dai velleitarismi quando dal rischio di banalizzazione.

La materia su cui si concentra l’attenzione di Roberto e della moglie, Maria Biancini, superprofessionale in sala nel suo interagire ad helicopter view con la clientela, è di impronta rigidamente ittica: il pesce di mare, i crostacei, il crudo, nelle sue migliori espressioni, di sapori, di origine, di preparazione, di tecniche, di presentazione e di impiattamento.

Roberto Proto, il sogno del gusto totale

Nel 2014 arriva la stella Michelin, importante riconoscimento alla formidabile preparazione di Roberto ma soprattutto alla sua capacità di realizzare piatti non convenzionali, eleganti e fortemente caratterizzati nel segno del gusto totale, per non dire estremo. Su questo termine, veniamo subito aiutati da Roberto, che durante il nostro incontro sottolinea: “Se dovessi definire la mia cucina, la chiamerei ‘creativa con sobrietà’. Mi piace lavorare sulla semplicità, proponendo ai clienti il meglio possibile, con la consapevolezza di trovare ai tavoli del Saraceno un cercatore di eccellenza, proposta all’insegna della semplicità assoluta”.

La materia infatti parla da sola, il talento consiste nel renderla emotivamente soddisfacente, capace di regalare emozioni autentiche. Il contesto aiuta, l’atmosfera del ristorante è un sapiente mix di contemporaneità e vintage, avvalorata da un servizio di sala garantito da una coppia di giovani (sommelier e responsabile di sala), coordinati dalla patronne, di rara professionalità.

La mia esperienza

L’esperienza di So Wine So Food è stata al di sopra delle aspettative. Certamente, approdare in un ristorante di livello alla vigilia del cambio stagionale della carta mette in discreta agitazione chi ne dovrà scrivere. Ma il fatto di trovare una linea di cucina continuativa, con alcuni piatti, come lo Spaghettoro Verrigni ai ricci di mare o il Gambero rosso si fa in quattro, o la Ricciola cotta fuori e cruda dentro e salsa alla pizzaiola, è rassicurante. I piatti-bandiera, nelle carte dei grandi ristoranti ci devono stare sempre, in ogni stagione. Il cliente spesso torna proprio per assaggiare quel certo piatto…

Seduto a tavola, rimango colpito dalla carta dei vini, ricca ma non straboccante, attenta al territorio ma con etichette meno prevedibili del solito (Franciacorta a parte, dove dominano i nomi più blasonati).

Fantastica la selezione di Champagne, che tiene conto di etichette di grandi Maison, come Ruinart, Jacquesson, Gosset, Salon, Krug, Delamotte, Encry, Duval Leroy, Louis Roederer, Perrier Jouet, Pol Roger e altri. Mala sorpresa è nel trovare una sezione dedicata ai. Recultant manipulant: 25 etichettte, tra cui quelle della mitica Maison Egly-Ouriet.

Poi, oltre 120 bianchi italiani, seguiti dalla sezione “dal Mondo”, ovvero Austria, California, Germania, Galilea, Libano, Nuova Zelanda, Slovenia. Per non dire delle 70 etichette fra Borgogna, Alsazia, Bordeaux. E oltre ottanta rossi italiani per chi volesse abbinare la cucina di pesce qualche eccellente etichetta.

Degustazione

Ma è nella cucina che il piacere raggiunge livelli ancora più concreti e gastrotangibili (!). L’inizia è appagante: Stuzzichini di benvenuto con Panino al vapore e poi fritto, ricotta e caviale di acciughe, Oliva apparente, pane tonno pomodoro, Krächer con baccalà mantecato, Lisca di pesce al nero di seppia e crema di alghe, Macaron al foie gras, Chios di peperone. Miniature di gusto, ineccepibili, perfette.

Poi si aprono le danze: dopo la Triglia di scoglio, pomodoro, piselli e fragole, si degustano la Crudità di mare. Scampo, mandorla, sfera di Yuri e the Macha, Seppioline, sali cornai, polvere di capperi, Carpaccio di ricciola, i salatini di frutta e chips di verdure, Tonno, maionese senapata e rucola essa i, Sfera di gambero rosso, buttata, caviale e salsa pizzaiola.

È il momento dello Scampo arrosto, crema di mandorla, cedro candito e olio all’allarme, new entry nel menù: piatto di sapida freschezza.

Viene poi servitola Spaghettoro ai ricci di mare, un piatto fortemente evocativo, iconico, la nostra caporedattrice direbbe “che fa sognare”. E non potrei darle torto.

L’assaggio intermedio della Pizza, scarola spadellata, pezzogna e profumo di mare, servita nella scatola dorata, è un omaggio al gusto e alla semplicità, ma anche all’intensità della pezzogna, pesce tanto nobile quanto proposto raramente nella ristorazione, ormai “branzinizzata”.

Segue il secondo piatto di pesce, il Dotto, bagna cauda e carciofi croccanti, davvero magico, tenerlo e croccante. Il dotto, questo sconosciuto (pesce ligure, bianco, immacolato e puro nella sua semplice bomtà).

Si passa poi al dessert, quell”omaggio a AndyWarhol da cui traspare tutto l’amore di Roberto Proto per l’arte contemporanea. La banana di Wahrol è ricostruita con cura per i dettagli e regala profondi sentori di cioccolato bianco e frutto della passione: un dessert unico.

La piccola, essenziale, pasticceria accompagnata al caffè, darà un tocco finale di eleganza a un’esperienza del gusto che suggeriamo vivamente di provare a chi non avesse mai incontrato, sulla propria strada, il Saraceno di Cavernago.

Vale davvero la sosta, il viaggio e, diciamolo, il ritorno successivo per un’altra esperienza, magari del menù degustazione.Dimenticavo: il pane è una Pagnotta di farina Manitoba, lievitata 72 ore, servito affiancato da una Focaccia al rosmarino e sale Maldon e da grissini stirati a mano, preparati dallo Chef e dalla sua giovanissima brigata.

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