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Pizza: da piatto nazionalpopolare a espressione di creatività, talento e selezione della materia. Così si è avverato il grande riscatto

Ci siamo mai chiesti quando e come è successo che la pizza è diventata una nuova esperienza gourmet proposta dai nostri amati pizzaioli e ricercata dai food lovers più scettici del mondo?

Io sì, me lo sono chiesto, precisamente una sera. 

Ero a Napoli. Ero nel suo ventre. Ero in fila. Ma non era una fila normale! Era una fila disumana:, non finiva più e mentre tutti avevamo giochi sulle finestre del telefono, non poteva sfuggirmi il suono stonato di quelle lingue diverse che insieme alla mia intonavamo una sola speranza: ma quando tocca a me?

A Napoli? Che esperienza!

Finalmente il momento sudato e atteso arriva. Entro. Uno sguardo rapido alla sala e mi concentro al mio tavolo. Semplice. Occhi sul menù e l’imbarazzo della scelta si risolve con uno dei classici più classici della tradizione. E io voglio entrarci ancora più a fondo.

“Una Margherita” e mentre la comanda arriva in cucina, non posso non chiedermi come sia possibile che quella semplicità abbia varcato mondi e tempi restando (sempre?) fedele a se stessa. 

La pizza arriva. Il profumo è inebriante e si fa riconoscere in tutti i suoi elementi. La alzo. Cottura perfetta. Il primo morso non si scorda mai e in un attimo mi entra Napoli con tutto il suo mondo in bocca. Il secondo morso però mi porta velocemente ad una considerazione. 

C’era una volta la pizza che screditava. Ricordate quando si cercava un ristorante carino dove trascorrere la serata? La prima cosa che facevamo era quella di deviare da ogni insegna che recasse la scritta “Ristorante-Pizzeria” o, ancora peggio, “Trattoria-Pizzeria”.

Quelle le lasciavamo ai giorni morti della settimana. Le lasciavamo addirittura al pranzo, se proprio necessario.

A un certo punto però, che cosa è successo? La pizza è diventata elemento centrale di una ricerca che l’ha elevata a principio indiscusso di esperienze gourmet. 

Ed è polemica…

La polemica sollevata da Briatore in merito al costo di una pizza, ben dimostra quanto si vuole dire. Ma non è su quanto debba costare una Margherita o un’altra pizza, gourmet appunto. Vorrei capire come è successo che la pizza da cibo del popolo sia diventata “gourmet”.

Che poi, per carità, è una cosa bellissima! Ma dietro c’è la volontà e la ricerca degli chef o solo il grande potere instagrammabile della pizza? 

Il momento preciso di questo passaggio forse lo conosciamo: o meglio, le mani precise di chi ha inaugurato questa “promozione” sono dello chef veronese Padoan. Padoan ha messo sulla pizza ingredienti di altissima qualità e, appunto, l’ha elevata a nuovo rango. Poi sono venuti gli altri. 

Ma io ricordo di un giovane, giovanissimo pizzaiolo che a quei tempi ancora non era chi è oggi. Quel giovane pizzaiolo, tanti anni fa, mi aveva preparato una pizza “semplice -mi disse- ma con una cosa sopra che non troverai facilmente”. E sopra ci mise il conciato romano, il formaggio più antico del mondo.

Semplice? Conciato Romano? Anni e anni e anni fa?

Per chi non lo sapesse, quel giovane pizzaiolo oggi è il grande pizzaiolo Ciro Salvo. 

Pizza, ovvero rivoluzione

E allora la pizza, è obbligatorio dirlo, è sempre stata rivoluzione da una parte e rivoluzionaria dall’altra. È stata rivoluzionaria nel momento in cui è diventata rappresentante di una ben precisa fascia sociale. Non li dimentichiamo certo alcuni giornalisti che così titolavano i loro blog: “la pizza viene dal basso”, “è il cibo del popolo”.

Ma la pizza è stata rivoluzione perché capace di stravolgere ordini imposti: oggi la si può mangiare con caviale o abbinata a sopraffini bollicine. Ma non è solo questo. Perché la pizza è stata rivoluzione già nei suoi elementi cardini, l’impasto e la lievitazione, oggetto di costante ricerca e approdo alle migliori tecniche e materie prime. 

E allora, diciamo sì alla pizza sull’insegna di ristoranti e trattorie, ma oggi deve per forza maggiore indicare una nuova e concreta certezza: valori nelle fondamenta e creatività nelle idee.

Che sia gourmet, che sia tradizionale, che sia Margherita, che sia di Cracco, che sia di Napoli o dei Masanielli di Caserta, purché lo sia alla perfezione.

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