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“Eppure il vento soffia ancora

Spruzza l’acqua alle navi sulla prora

E sussurra canzoni tra le foglie

Bacia i fiori, li bacia e non li coglie”

(Eppure soffia – Pierangelo Bertoli)

Il vento soffia. Forte. E fischia. Dolcemente. Un flauto, rilassante e vellutato. Che attira lo sguardo e lo spirito verso l’incavo formato dal profilo di due montagne. In fondo gli occhi non sono lo specchio dell’anima? Questi ammassi rocciosi sono colossi centenari. Due guardiani, da secoli a protezione della baia il cui odore di salsedine, attraversandomi il naso, mi ottura ogni poro. Li guardo stringendo il bavero del mio cappotto. E’ autunno qui, ma non rimpiango il caldo della mia Roma. Della mia Italia. Della mia Europa.

Ho solo una preoccupazione: quella di non riuscire a trattenermi. La paura di diventare parte della baia. Dell’oceano. Di un colore talmente simile a quello del cielo da non riuscire quasi a distinguerli. E se diventassi anche io così? Se improvvisamente mi colorassi di blu e fossi normale e a mio agio solo a contatto con l’acqua? O con l’aria?

Sono un giovane Ulisse senza nave, albero maestro, compagni. Chi mi salverà? Chi mi proteggerà? Chi mi legherà alla vela impedendomi di cedere al canto delle sirene?

Nessuno. Solo io posso aiutarmi.

Allargo le braccia e faccio scendere lo sguardo lungo il mio corpo: mi pare non ci sia nulla di strano. Ruoto le mani, cercandomi i gomiti. Il cappotto rimane dello stesso grigio pizzicato di nero che ricordavo. E anche la pelle: ha il solito color perla che ricorda la lontananza dell’estate.

L’estate arriverà. E se non dovesse arrivare la aspetteremo. Perché l’estate arriva sempre. Ecco, magari se si è “in due” ci mette un po’ meno a palesarsi. Ma finisce anche prima. A voi la scelta…

Sono a Sydney. Nella zona di Freshwater. Qui, a due passi dall’oceano e circondato da surfisti, meravigliosi con le loro tavole colorate, sorge Pilu. A detta del Gambero Rosso: “il miglior ristorante italiano d’Australia”. Fondato da Giovanni Pilu, un italiano nato in Sardegna, una quarantina d’anni fa, il locale ora vede in cucina Jason Saxby, assistito da un’eccellenza nostrana, il sous chef Dario Manca.

Solo la location, varrebbe i soldi e la fatica del viaggio. Dalla sala, ampia e spaziosa (può ospitare fino ad un centinaio di commensali), si può ammirare l’oceano e la meravigliosa baia di cui vi parlavo.

Sui tavoli, rivestiti di splendide tovaglie bianche, si può subito riscontrare un tocco di Sardegna: in fondo l’idea di Pilu era quella di creare una cucina a metà tra quella italiana e quella australiana. Per non scontentare nessuno e attirare ogni tipo di clientela.

In un cestino c’è del pane carasau, da gustare insieme a del formaggio realizzato da un pastore del posto, con del miele. Poi mi vengono offerte delle ostriche con un trito di cipolle e aceto.

Passiamo subito alle portate principali: gli scampi, serviti su una crema di zucca, un ristretto di prezzemolo, pomodoro e cipolle. Il sapore mi sembra molto “su”, molto spinto. Ma il piatto nel complesso merita.

Pasteggio con un Pinot Nero, Paradigm Hill L’Ami Sage del 2012: di un intenso rosso rubino, al naso mostra sentori di lamponi, ciliegie e erba. Al gusto, invece, appare liscio e godibile, con tannini fini e una buona dose di mineralità.

Poi, in piena tradizione italiana, la pasta: ravioli neri al nero di seppia, ripieni di polpa di granchio, adagiati su una crema di pomodoro e delle uova di salmone. Questa è una grandissima portata.

Farfalle fatte a mano, con burrata, cozze e un crumble di olive. Molto bello e colorato, anche questo è da catalogarsi nell’elenco dei grandissimi piatti.

Poi il pesce, uno snapper, una specie di merluzzo europeo, pescato direttamente dall’oceano, servito con brodo di carne. Accostamento azzardato ma davvero riuscito.

Infine il main course: la pernice. Viene portata al tavolo su un vassoio fatto di sughero, con delle pigne e aghi di pino. E’ ancora intera. Poi su un piatto di legno, con un piccolo contorno di funghi, viene finita di cuocere e poi laccata alla perfezione. Devo dire che questa è di gran lunga la portata più buona dell’intero menù degustazione.

Chiudiamo con i dolci: tartelletta con frutta di stagione, una mousse di castagne, un gelato di mandarino, un crumble e una seadas rivisitata, accompagnata da uno spicchio d’arancia.

Al termine del pasto, posso lasciarmi andare alle mie considerazioni finali. Non c’è dubbio che Pilu, anche solo per la location, meriterebbe un voto molto alto. I piatti sono davvero notevoli, ma alcuni dettagli, a mio avviso, potevano essere gestiti meglio.

Voto finale: tre barbe.

 

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