Il primo chef in Europa ad aver preso la stella Michelin per il suo ristorante vegetariano racconta come il vate della cucina italiana ha cambiato e condizionato la cucina di oggi
Pietro Leemann primo chef che propone una cucina vegetariana a ricevere la stella Michelin per il suo ristorante milanese Joia, è stato fin da giovane influenzato da Pellegrino Artusi e dalla sua opera La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, un vero e proprio vademecum per tutti i cuochi (e non). Piatti che riflettono le tradizioni regionali ma sempre affacciati ad altre culture e alla contemporaneità: è così che Leemann vede la cucina di oggi e di domani.
Lei ha vinto il prestigioso Premio Artusi nel 2005, cosa ha provato nel ricevere il “Nobel della cucina italiana”?
“È stato un onore soprattutto come chef vegetariano. Direi fondamentale per la mia carriera. Pellegrino Artusi per me è sempre stato un riferimento importante e fin dalla gioventù ho preso ispirazione dai grandi della cucina. Tra questi Auguste Escoffier, maestro francese che puntava a una cucina di livello, e l’Artusi stesso, mentore della cucina italiana che con la sua opera è riuscito a unire l’Italia a tavola”.
In che modo Joia rispecchia la filosofia e la cucina del grande Artusi?
“Lui era legato alle tradizioni regionali italiane che ha ampiamente descritto nel suo libro. In un certo senso il Joia rispecchia la visione di Pellegrino perché a ben vedere quella italiana è una cucina con molti piatti vegetariani. Inoltre, penso sia fondamentale dialogare con il cliente che negli ultimi anni si è trasformato. Oggi apprezza culture e gusti diversi e guarda oltre”.
Il modo di vedere e interpretare la cucina di Pellegrino è superato o sempre attuale?
“Oggi c’è un grande ritorno alla tradizione e alla regionalità e questo è un aspetto molto importante e positivo. Ovviamente rispetto alle ricette proposte dal gastronomo, la cucina contemporanea è molto più leggera: ci sono meno grassi, le cotture sono più brevi e i piatti hanno un gusto decisamente più croccante e fresco. Ma comunque è fondamentale attingere sempre alla tradizione e al modello di Artusi perché è da lì che veniamo”.
Come ha rivoluzionato il mondo della cucina questo libro?
“Il libro di Artusi è un caposaldo della cucina: con il suo lavoro ha fornito uno spaccato di quel momento storico che oggi ci aiuta a comprendere la società e la cultura italiana dell’epoca. Da poco ho pubblicato il “Mio codice della cucina vegetariana che rispecchia molto le tendenze del momento. Infatti, le ricette contemporanee sono molto più green, certamente in antitesi con il pensiero di Artusi. Infatti, per lui la verdura era un contorno, mentre per me è protagonista”.
Cosa avrebbe pensato Pellegrino Artusi della cucina e degli chef di oggi?
“A tratti sarebbe stato soddisfatto della cucina moderna ma d’altra parte sarebbe rimasto stranito da alcune tendenze decisamente troppo studiate e “artefatte”. La sua visione di cucina era improntata sul sapore e certamente era meno sofisticata. Io, ad esempio, faccio sempre attenzione all’ingrediente senza manipolarlo troppo perché altrimenti si cambia la sua natura e il suo sapore: sono sicuro che da questo punto di vista sarebbe stato d’accordo anche lui”.
Quest’anno si celebra il bicentenario della sua nascita. Quale piatto dei giorni nostri avrebbe gradito?
“Sicuramente tutto il mondo della pasta dove a oggi si sono sviluppati formati, sughi e metodi di cottura che la caratterizzano a seconda della regione. Un altro piatto è la pizza che Pellegrino ha conosciuto poco ma che avrebbe amato. Infine, tutto ciò che riguarda il pane e la panificazione, sfera che lui non cita molto ma che ha raggiunto dei livelli straordinari”.