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Il giovanissimo chef sardo affetto da SLA: “Il cibo è il foglio su cui noi chef dobbiamo disegnare”

La cucina, quella autentica, è espressione di emozioni. Un buon piatto, un accostamento azzeccato, un sapore mai provato prima, possono riempire testa e cuore di stupore, di gioia, di carica emotiva. Quando ci troviamo di fronte alla storia di Paolo Palumbo, chef  ventunenne affetto da SLA dall’età di 17 anni, l’emozione diventa forte nell’ammirare come questo ragazzo lotti con una volontà d’acciaio per realizzare i suoi grandi sogni, cucinare e aiutare concretamente persone che, come lui, si trovano ad affrontare un’ulteriore sfida nella grande battaglia della vita. Proprio in loro sostegno, Paolo ha recentemente dichiarato di essere pronto ad intraprendere uno sciopero della fame per richiamare l’attenzione delle Istituzioni sulla necessità di investire ulteriori fondi nella ricerca contro la SLA.

Generoso e disponibile, Paolo ha accettato di buon grado di rispondere alle nostre domande. Quello che traspare dalle sue parole è un ragazzo forte, determinato e, neanche a dirlo, follemente innamorato dei “quattro fuochi”.

Ciao Paolo, quando e come è nata la tua passione per la cucina?

“La mia passione per la cucina nasce quando ero bambino, vedevo mio padre destreggiarsi tra i fornelli e mi affascinava molto, soprattutto vedere le fiamme o vedere saltare uno spaghetto mi colpiva tanto. Quando avevo 14 anni e dovevo formalizzare l’iscrizione alla scuola superiore dissi ai miei genitori che ero intenzionato ad iscrivermi al indirizzo alberghiero per approfondire la mia passione ma purtroppo loro, non ascoltandomi, mi hanno iscritto al liceo classico, nonostante con insistenza cercavo di fargli capire che non era il mio futuro loro erano irremovibili. Quindi l’unica soluzione era non studiare, fare di tutto per farmi mandare via, così un giorno ho deciso di dare un cazzotto ad un professore che puntualmente mi prendeva in giro facendo allusioni sul mio sovrappeso e finalmente mio padre ha acconsentito a farmi entrare nel mondo della cucina nel ristorante di famiglia.”

La malattia ha accentuato questa passione?

“E’ sempre stata enorme perciò, anche davanti alla malattia, è continuata a crescere. Anzi, mi ha permesso di evolvere il mio pensiero di cucina e portare a termine un gran numero di obiettivi.”

Hai pubblicato un libro, “Sapori a colori” insieme allo chef Luigi Pomata. Qual’è stato il motivo che ti ha spinto a scriverlo? Qual è il messaggio che volevi far passare attraverso questo?

“Sì, esatto. E’ un libro di ricette di buona e sana cucina, con un tocco di innovazione e sopratutto ricerca di materie prime che aiutino, chi mangia, a stare bene, tutto questo studiato appositamente per essere omogeneizzato e somministrato a persone che soffrono di disfagia e problemi di deglutizione. Il messaggio che volevo trasmettere era quello che la cucina è una vera e propria cura e niente è impossibile. Infatti, seppur malato, ho continuato a seguire la mia passione aiutando tantissime persone.”

Quanto è forte il legame con tuo fratello Rosario?

“Se devo rispondere sinceramente non credo che esista un’unita di misura per quantificare quanto sia forte il rapporto, però posso dire TANTO, c’è un legame davvero molto forte, che va al di sopra di qualunque rapporto tra fratelli, amici e familiari. Se un giorno mio figlio o un bambino dovesse chiedermi che cosa significa la parola fratello, io risponderei: “Rosario.”

Ingrediente preferito? E invece quello che non sopporti?

“Ingrediente preferito in assoluto la vaniglia, nel dolce e anche nel salato (saputa usare e dosare). Non sopporto il prezzemolo, lo abolirei da tutte le cucine.”

Quanto è importante la fantasia in cucina?

“La fantasia è fondamentale in cucina perché il cibo, a mio parere, è nato per essere trasformato, sempre rispettandolo chiaramente, ma bisogna fare in modo che l’ingrediente possa esprimere tutto ciò che lo compone. Da poco ho scritto un post dove raccontavo un trauma avvenuto quando ero alla scuola materna e superato circa 12 anni dopo, grazie alla cucina. Personalmente credo che il cibo sia il foglio sul quale noi chef dobbiamo scrivere e disegnare. Al cibo va data una forma, va espresso il suo colore in modo da rendere tutto appetibile. I bambini, per esempio, non mangiano verdure volentieri perché noiose e monotone, se invece gli si presentassero dei piatti più colorati con verdure, con forme che incuriosiscano e che permettano alla loro mente di giocare, tutto sarebbe più bello e magico.”

Credits foto pagina facebook : Paolo Palumbo – Finalmente Abili



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