Giappone e Sud America, con Perù in prima linea. Qui le origini della cucina si combinano in una linea di proposte eleganti e raffinate. Un successo senza precedenti che si replica anche nel Pacifico di Roma
Di primo acchito si potrebbe pensare che il nome Pacifico, proprio di un elegante e originale ristorante declinato in tre località, rimandi a mete e mari lontani, e in parte è così. Ma nel lemma stesso è racchiuso anche un concetto di quiete, di bien vivre gastronomico, fatto di gusto e glamour accennato con garbo e ritmi lenti, cadenzati ma più che corretti e quasi dovuti a una ristorazione di livello. Il naming non è quindi casuale, e ha una precisa ragione, anzi più d’una, d’essere.
Pacifico è un’idea di cucina fortemente originale che si snoda tra il pieno centro di Milano, un’elegante dimora di fine Ottocento a Roma e una terrazza boschiva di Porto Cervo. Una idea che va oltre quella Nikkei: un DNA gastronomico proprio che non copia nessuno ma, al contrario, crea il proprio percorso per una precisa cifra stilistica e di gusto.
Tre differenti locations per un format comune ma, nel contempo, personalizzato in virtù di target di ospiti, posizione del locale e architettura degli edifici che ospita i singoli ristoranti. Ingredienti e piatti, però, sono sostanzialmente gli stessi, belli per occhio e palato, e rendono omaggio con un lieve inchino, quasi un cameo, all’Italia, alle sue proposte e alla sua cultura a tavola; ma non si parli di cucina fusion.
Inizia tutto nel 2015 con Milano, dopo due anni è la volta di Roma. Successivamente Pacifico apre in Costa Smeralda, a Porto Cervo. Nel capoluogo meneghino, dove chi scrive ha scoperto un locale dalle tante sfumature color del mare e dell’oceano in cui nulla è fuori posto né tantomeno si scivola in facili ostentazioni, Pacifico si presenta giovane, elegante, quasi intimo. Nell’Urbe è invece formale, quasi sontuoso, mentre nell’isola sarda è più cosmopolita e “frizzante”.
L’imprinting, che profuma di tecnica giapponese contaminata da sapori peruviani, lo si deve a Jaime Pesaque, che ha dettato la linea di Pacifico: crudo, soprattutto di mare, frutti del Perù, salse particolari, spezie e aromi lontani che raccontano l’altra parte del mondo.
Da poco più di un anno a Milano è nelle mani dello chef Joseph Valenzuela. La sua creatività presenta in tavola, (ma non è certo tutto), causa catalana, ceviche in mille declinazioni, spigola tamales e il celebre tiradito, anch’esso in diverse versioni.
Sono proposte da accompagnarsi a una carta dei vini, circa 250, di grande tenore, cui sovrintende il sommelier. E’ un ambiente, quello meneghino, elegante senza inutile sfarzo, silenzioso e da toni, colori e luci morbidi e caldi, che implicitamente invitano al relax per immergersi in una cucina che altrove proprio non c’è, come conferma lo stesso Valenzuela, 35 anni di passione e talento: “stiamo trovando sempre più una nostra identità specifica, per un DNA che rimanda sia al Giappone sia al Perù, senza mai dimenticare che siamo in Italia, con i suoi sapori e profumi e le sue materie prime”. La curiosità è così forte che è sfociata in una intervista.
Se parli della tavola e dei prodotti del nostro Paese viene istintivo chiederti quanto tu ne possa essere influenzato
Non più di tanto, Pacifico è un mélange che rimanda alla cucina Nikkei; di certo usiamo molto il fresco del vostro paese, che completa idealmente la nostra idea di gastronomia, ma non vogliamo che nulla ci condizioni e prenda il sopravvento sulle idee del menù.
Quindi, tra Giappone, Perù e una contaminazione italiana, possiamo parlare di proposte fusion?
Preferisco pensare a una cucina in costante evoluzione; noi di Pacifico non cerchiamo di riproporre ciò che già c’è. No, non chiamiamola fusion: non sempre quest’ultima contiene identità particolari. Noi invece ne abbiamo una nostra.
Evidentemente siete lontani da un “copia e incolla” dei più blasonati e importanti competitors…
Non vogliamo assolutamente sovrapporci né guardare ad alcuno: non è un ristorante peruviano e neppure solo Nikkei. Noi siamo Pacifico, è un percorso esclusivamente nostro che non è mai fermo, ma risponde sempre a una ricerca continua, partendo dalla tradizione culinaria e dal rispetto dei singoli paesi e delle loro gastronomie, per noi muse ispiratrici ma niente più.
Accenni, nelle tue parole, a una ricerca continua, a menù mai definitivi. Che futuro vedremo nei piatti di Pacifico?
Senza rinunciare a noi stessi, ci stiamo concentrando sempre di più sulla qualità dei singoli alimenti, cercando il giusto compromesso tra i sapori peruviani conditi da tecnica giapponese, decisamente “importanti”, e quelli europei, notevolmente differenti. In questo senso, ma non solo, prossimamente ci saranno novità, e non di poco conto. Ma è presto per parlarne.
Identità e sostanza, raffinata eleganza e sussurrata atmosfera quasi retrò: l’oceano dai mille verdi e blu profuma di Pacifico.