“Quando taci a cosa pensi?
Il nostro amore è di silenzi.
Cara mia ma dove guardi?
I marinai tornano tardi…”
(I marinai tornano tardi – Murubutu)
E’ una delle domande che mi faccio più spesso.
Mi capita sempre. Chiaramente, quando leggo un libro, seguo una serie Tv, guardo un film.
Io in quale personaggio mi riconosco?
Qual è quello che mi si avvicina di più? Quello ragiona come me? Tiene i miei stessi comportamenti? Quale quello a cui assomiglio?
Oggi ho voglia di tornare indietro nel tempo. Alla metà degli anni ’90 per essere precisi. Quando tra le mani mi capitò un’opera capace di cambiare radicalmente il mio modo di interpretare la vita oltre che la scrittura.
Parlo di Oceano Mare.
Forse il libro più importante di Alessandro Baricco. Certamente quello che lo ha reso famoso, gli ha dato la consacrazione, gli ha concesso la possibilità di stagliarsi nell’Olimpo degli scrittori italiani più importanti. Almeno tra i contemporanei.
Non ero che un adolescente o giù di lì quando “entrai” per la prima volta all’interno della Locanda Almayer e feci conoscenza con i suoi ospiti. Quello al quale mi sentii subito più affine fu Bartleboom: il professore che scrivere lettere d’amore ad una donna ancora da conoscere. E che nell’anima persegue un obiettivo tanto affascinante quanto impossibile: scrivere un’enciclopedia sui limiti.
Una questione molto seria, a rifletterci con attenzione. Oltre che riconducibile ad ogni più piccolo particolare della nostra esistenza.
Esistono i limiti?
Esiste un punto preciso in cui si conclude qualcosa, sia reale o psicologica, e ne inizia un’altra?
Esiste un momento esatto in cui la notte diventa giorno e viceversa?
In cui è possibile capire dove termina il cielo e comincia la terra?
E, poi, dov’è che finisce il mare?
Bartleboom se lo chiedeva osservando la risacca dell’oceano allungarsi e poi ritirarsi sul bagnasciuga. Io seduto al mio tavolo, circondato da altri commensali sorridenti che ignorano completamente (beati loro) le mie fisime.
Le onde, intanto, sono arrabbiate. Sfogano sulla sabbia la frustrazione di un inverno restio ad abdicare. La collera dell’acqua salata va in contrasto con la tranquillità della sala che mi ospita. Bianca, asettica, pulita e in pieno stile marinaro. Si nota una certa “ristrutturazione”: la stagione che sta per cominciare, la prima dopo il conseguimento della terza stella, deve essere quella della definitiva consacrazione. Della conferma e, perché no?, dello stupore. Senza dimenticare le emozioni: ma quelle, da queste parti, non sono mai mancate. Grazie al mare ma soprattutto ai piatti che vengono realizzati all’interno di queste quatto mura.
Sono a Senigallia e sto per mangiare da Uliassi, uno dei dieci tre stelle Michelin italiani. L’ultimo per “nomina”, visto che il terzo macaron, il cuoco marchigiano e la sua brigata, lo hanno conquistato solo nel novembre scorso. Quando a Parma è stata presentata la nuova edizione della Rossa tricolore.
Nato praticamente 30 anni fa, il ristorante è gestito da Mauro Uliassi, lo chef, e da sua sorella Catia e può vantare una “squadra” di quasi trenta persone. Superfluo parlare della location: è splendida. Uliassi si trova sul mare, come avrete intuito. Tra il porto canale e la spiaggia. Luogo che, come recita il loro sito internet, è bello sempre, in tutte le stagioni, con il vento o con la pioggia, con la neve oppure quando le giornate sono immobili sotto il sole dell’estate.
Impossibile dargli torto: questa bellezza, infatti, è riscontrabile anche oggi. Con il mare in burrasca e una temperatura non proprio primaverile.
Ci pensa un mini aperitivo di benvenuto a “scaldarmi”: tra questi apprezzo tantissimo il wafer di foie gras e la finta oliva ascolana con mandorla croccante
Anche il pane è da capogiro: divento completamente dipendente dalla pizza al formaggio. A tavola c’è anche uno splendido burro all’ostrica.
Inutile dirvi che il menù di Uliassi è quasi interamente incentrato sui prodotti del mare. Ho scritto quasi perché la possibilità di mangiare la carne, specie cacciagione, non viene negata. Esistono diverse opzionialle quali ci si può affidare. Io scelgo il LAB 2019: è la carta in cui lo chef marchigiano “prova” le sue ultime creazioni. Al bivio tra mare o selva decido di divertirmi: “Vada per la selva”, sorrido. E mi preparo al viaggio…
In attesa dei primi piatti torno a studiare la mise en place: classica alla francese, sobria ma piacevole all’occhio. Vanta tovaglie di fiandre, bicchieri e calici disposti nel modo giusto e uno splendido piatto rotto e poi ricostruito con dell’oro: questo per richiamare la vecchia tradizione giapponese. Il kintsugi pratica nipponica simbolo e metafora della resilienza: quello che si rompe, non è necessariamente compromesso. Anzi, può diventare ancora più bello di prima.
L’esperienza enogastronomica si apre con la canocchia marinata, semi di frutto della passione e olio al pepe rosa; e prosegue con uno dei piatti più riusciti della proposta di Uliassi: la minestra seppia cruda, mazzancolle, fasolari, costa di lattuga ed estratto di tamerice.
Proseguiamo con Corona di rombo, salsa tzatziki all’arancia e il mare dentro. Questa creazione è composta principalmente di interiora di pesce, trippe di baccalà, cuore e lattume di rombo e fegato di seppia. Da quello che mi viene spiegato, ogni elemento ha una cottura separata: vengono riuniti tutti in seguito e conditi con erbe tritate e rabarbaro crudo.
E’ il momento delle morchelle, salsa di vino bianco, agrumi e mango (lo trovo equilibratissimo e dotato della giusta sapidità) e della pasta al lardo di polpo. Questo è un gioco: è chiaro che il piatto non viene realizzato con il lardo di polpo, ma con lo stesso lavorato come fosse del lardo di colonnata. Splendido.
Chiudiamo con Gobbetti, prezzemolo, cicoria e lumache e come già detto con la selva, la cacciagione: perfetta nella cottura e nei condimenti.
Il dessert è forse il piatto che mi ha dato meno soddisfazione: bavarese, gelato al rosmarino e liquore Morlacco. Buonissimo, per carità, ma quando arrivo al dolce vorrei che la mia glicemia gridasse di terrore. In questo caso non è successo. Fortuna che ci pensa la piccola pasticceria a restituirmi quel grado di “bontà” del quale il mio corpo ha estremamente bisogno. I cioccolatini sono meravigliosi: con difficoltà ne ho mangiati di così buoni.
Dopo aver pagato il conto e visitato i bagni (nulla da eccepire, bravo Mauro!) posso concedermi le mie considerazioni finali. Le tre stelle di Uliassi sono più che meritate. Utilizzare i prodotti del mare, saperli domare, gestire ed equilibrare non è per niente semplice.
Il cuoco marchigiano, invece, ci riesce con grande maestria, risultando mai pesante né stucchevole. Ecco, se proprio devo trovargli un difetto, lo andrei a ricercare nelle quantità: si può essere più generosi. Anche solo perché i piatti sono così buoni che ne vorresti mangiare sempre di più.
