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L'origine delle materie prime in etichetta

L’origine delle materie prime in etichetta.

Con l’entrata in vigore il 1° di Aprile 2020 del Regolamento esecutivo (UE) 775/2018 è venuto meno l’obbligo di indicare in etichetta l’origine di alcuni prodotti alimentari o il luogo di provenienza. L’Italia ha preso del tempo, prorogando l’obbligo fino al 31 dicembre 2021 su alcuni alimenti. Vediamo assieme come cambierà per il consumatore la nuova etichetta prevista dall’Ue.

Solo se c’è il rischio di essere tratti in inganno

Di fatto questa normativa rende le etichette meno complete rispetto a quella precedente. L’obbligo di specificare l’origine della materiale prime si applica solo se il consumatore rischia di cadere in errore a causa di immagini o diciture, che possono riferirsi a luoghi geografici. Se su una confezione di pasta è riportata l’immagine del Tricolore e le materie prime non provengono dal nostro Paese, il produttore è tenuto a precisare il luogo di provenienza. Altrimenti no.

L’articolo n. 26 è molto chiaro a tal proposito: “Nel caso in cui l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore in merito al paese d’origine o al luogo di provenienza reali dell’alimento, in particolare se le informazioni che accompagnano l’alimento o contenute nell’etichetta nel loro insieme potrebbero altrimenti far pensare che l’alimento abbia un differente paese d’origine o luogo di provenienza“.

E per l’ingrediente primario?

Anche su questo lato non c’è più l’obbligo di segnalare la provenienza, qualora l’ingrediente primario arrivi da un luogo a cui è abitualmente associata la denominazione. La normativa definisce come ingrediente primario ciò che “rappresenta più del 50% di tale alimento o che è associato abitualmente alla denominazione di tale alimento dal consumatore e per il quale nella maggior parte dei casi è richiesta un’indicazione quantitativa”. Se in una crema di cioccolato il 51% della materia proviene da un Paese a cui è normalmente riconducibile la produzione del cacao, come ad esempio il Brasile, non è previsto alcun obbligo di segnalarne l’origine, a patto che non ci siano diciture o immagini che possano indurre in errore il consumatore. Qualora ci fossero, come ad esempio “made in Italy”, perché lavorata in Italia, l’origine del cacao sarebbe necessaria.

L'origine delle materie prime in etichetta

L’origine delle materie prime in etichetta.

Deroghe

Non sono molte le deroghe, ma una in particolare ha sollevato un polverone. Si tratta della deroga per i marchi registrati, che non sono tenuti a dichiarare l’origine delle materie prime. Questo vale anche se sulle loro confezioni campeggiassero messaggi forvianti per il consumatore, come bandiere o nomi che richiamano a un Paese. La questione rimane aperta, anche se l’Ue ha intenzione di emanare delle norme specifiche per i marchi registrati, pensate per proteggere il consumatore e scongiurare (o limitare…) l’Italian sounding per il nostro Paese.

Un’altra deroga importante è legata alle denominazione di origine come DOP (Denominazione di Origine Protetta), IGP (Indicazione Geografica Protetta) e STG (Specialità Territoriale Garantita). La questione è delicata soprattutto per ciò che concerne gli IGP, la cui materia prima può venire da lontano. Qualche esempio? La bresaola della Valtellina IGP è fatta con carne brasiliana. Mentre la carne con cui si produce lo Speck dell’Alto Adige IGP è di origine tedesca.

Le richieste dell’Italia

L’Italia ha già chiesto a Bruxelles maggiore trasparenza sull’origine delle materie prime in etichetta. La Ministra Bellanova nell’aprile 2020 ha chiesto che fosse esteso l’obbligo di origine delle materie prime in etichetta a tutti gli alimenti, a partire da latte, formaggi, carni trasformate, pasta, riso, derivati pomodoro. Nasce da questa richiesta la successiva proroga fino al 31 dicembre 2021 del decreto su latte e formaggi. Staremo a vedere cosa succederà a fine anno.

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