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Donna forte, determinata ed eclettica, proprio come il suo amato olio: Lucia è un virtuoso esempio di come il frantoio non sia più un mero appannaggio maschile

Devo ammettere che non do mai la giusta attenzione ai calendari, dimenticare le date è il mio marchio di fabbrica. Compleanni, festività, celebrazioni; nulla sfugge alla mia galoppante sbadataggine.

Qualche giorno fa mi è stato chiesto di realizzare un articolo per la Giornata Internazionale delle donne rurali che capita proprio oggi.

La mia scelta è immediatamente ricaduta su Lucia Iannotta, proprietaria dell’omonima Azienda Agricola a Sonnino (LT), nonché vera e propria ambasciatrice dell’olio Extravergine in Italia e nel mondo. 

Descrivere Lucia in poche righe non è impresa semplice, ascoltandola si riscontrano però chiare affinità con l’olio da lei prodotto: da subito riconoscibile, diretta ma con una complessità ed ecletticità che emergono con entusiasmo durante la conversazione.

Come nasce la tua passione per l’olio?

“Io non ho una passione, il mio perseguire il percorso che è stato tracciato dai miei nonni è stato dettato per primo da dovere filiale, insito dentro di noi. Con non poche difficoltà sono riuscita sia a laurearmi che a perseguire la strada di famiglia. La nostra è poi una famiglia quasi prettamente femminile e, nei vecchi frantoi dotati di ben poca meccanizzazione, la mancanza di figli maschi si faceva sentire.

All’epoca forse sono stata un pò presuntuosa, pronunciando la frase “ci penso io”, dettando però le mie regole. Il frantoio è stato completamente rinnovato: materiali in acciaio inox, raccolta anticipata delle olive e l’eliminazione delle macine in pietra, tanto affascinanti quanto poco consone alla produzione di un olio di qualità.

Nel mio paese non ero vista di buon occhio, ero una femmina rivoluzionaria che trasgrediva i “giusti” canoni della tradizione.”

Qual è l’immagine più nitida che hai del vecchio frantoio?

“Sicuramente l’immagine delle macine: olive che cadevano nella tramoggia delle gramole, questo granito che girava in maniera costante, sinuosa; incantava solo al guardarlo.

Purtroppo al di la del fascino, questo sistema di estrazione risulta pessimo: esposizione all’ossigeno, alla luce, al calore, tutte componenti che inficiano fortemente la qualità del prodotto finale.”

Su quanti ettari può contare l’azienda e quali sono le peculiarità climatiche e territoriali che caratterizzano i tuoi uliveti?

“Conto circa 20 ettari di terreno adagiato sul dorsale appenninico: la pendenza più o meno accentuata, il terreno roccioso e la vicinanza dal mare sono fattori che sicuramente influiscono sulla qualità della mia Itrana, pomodorosa, amara e piccante alla spremuta e dal sapore tondo quando va a maturazione. 

L’itrana poi è una cultivar che resiste bene sia picchi di eccessiva siccità che freddo.

Tengo inoltre a precisare che, solitamente, un produttore di professione non è mai un bravo imprenditore. Quando si produce in qualità si compiono azioni spesso antieconomiche: un esempio lampante lo si può ritrovare nella raccolta anticipata delle olive; l’olio sarà di qualità eccellente, con una carica polifenolica massima, questo va però a discapito della resa. Oppure l’estrazione a freddo: se il regolamento indica come temperatura i 27 gradi io solitamente non supero i 18/19. Il mio mantra è quello di trasformare dal fresco, sia che si parli di olive che di frutta e verdura per marmellate e prodotti sott’olio. La soddisfazione dei clienti ci gratifica però di tutte queste scelte.”

Mi racconteresti la tua Itrana? Fatta di ricordi, storie e cambiamenti..

“Anche nella produzione dell’Itrana ho assistito a molteplici cambiamenti. Da quelle che erano le abbondanze produttive di un tempo ora sono diventate scarsità e rarità. È una cultivar a duplice attitudine che si presta sia alla produzione di olio che di olive da mensa, quindi le varie fasi dell’invaiatura risultano tutte dense di significato.

Dall’Itrana propria nasce l’oliva di Gaeta, fulcro e ingrediente insostituibile del celebre spaghetto alla puttanesca.”

Fuori dai confini del Bel paese, dove si possono reperire i tuoi prodotti?

“Il 40% del mio prodotto finisce all’estero soprattutto negli Stati Uniti, in Canada, in Paesi mitteleuropei e del nord europa come come Austria, Germania, Svizzera, Norvegia e Svezia. Non mancano poi Stati dell’estremo oriente come il Giappone, che fa dell’olio Made in Italy uno status.”

Quali sensazioni hai provato e che responsabilità hai sentito nell’essere stata selezionata come testimonial dell’eccellenza italiana a Expo 2015?

“L’Expo mi ha stupito e stravolto, un’ondata fortissima che mi ha colto in un momento dove forse ero ancora immatura, ad oggi l’avrei colta diversamente come occasione commerciale. L’ho vissuto come un sogno, quando mi chiamarono stentai a crederci. Da piccola ero solita ripetere che non avrei continuare il lavoro della famiglia, ora sono giunta alla conclusione di esser stata davvero brava.”

Che idee ti sei fatta della campagna olearia appena iniziata?

“Ho conosciuto campagne olearie migliori, sia perché questa coincide purtroppo con una annata di scarica sia per la questione dei continui aumenti dei prezzi. Ormai sono state raggiunte cifre folli che abbracciano ogni componente della vita di un frantoio. 

Spero vivamente che quest’anno sia un caso isolato e che dal prossimo si riesca a lavorare con più serenità.”

In una parola: la principale peculiarità che Lucia Iannotta cerca in un grande olio.

“Complessità.”

 

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