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“Andiamo a fare due passi?” ti chiedo.

“Ma nevica fortissimo”.

“Appunto”.

“Stai sotto la neve, ho bisogno di parlarti”.

(La neve se ne frega – Luciano Ligabue)

C’è un silenzio assordante qui.

E non capisco se sia la mia mente ad annullare ogni rumore o se effettivamente ci sia una reale mancanza di suoni.

Mi chiedo se sia l’aria di montagna.

Mi chiedo se sia la stanchezza del mio road trip a rendere tutto lontano e ovattato.

Mi chiedo se non mi siano capitati commensali fin troppo educati.

Mi chiedo se non sia la neve a coprire tutto.

Mi chiedo, poi, “che fine fa il bianco quando la neve si scioglie?” (cit.)

Vecchie reminiscenze liceali. Solite domande. Zero risposte.

Mi pare sia tutto al suo posto, dunque. Tutto in ordine. Finché continuerò a pormi quesiti, finché continuerò a tagliarmi con il profilo appuntito e ben levigato dei miei punti interrogativi, presenti nella mia vita tanto da sembrare reali e tangibili, non può accadermi nulla di male.

Mi controllo il respiro. Mi sembra quasi di avvertire il flusso del sangue scorrere lento all’interno di vene e arterie. Sono sempre io, per fortuna: non mi sono perso nemmeno un po’. Non ho smarrito nemmeno una particella minuscola del mio essere.

Nonostante mi sia arrampicato per circa 1850 metri per raggiungere questo luogo fantastico.

Nonostante tutto questo bianco.

E’ bianca la tovaglia.

Sono bianche le sedie.

Vestono di bianco perfino le splendide signorine che servono ai tavoli. Con i loro capelli neri e le loro code di cavallo. Sono identiche. O almeno lo sembrano, come i fiocchi di neve. Ma se ci fai caso, se ti concentri bene sul loro profilo, ti accorgi che non sono per niente uguali. A fare la differenza sono i capelli: non poggiano mai sulla stessa spalla. Ogni cameriera li porta a modo suo. E non capisco se sia un vezzo o il frutto di una semplice dinamica lavorativa. O del destino. Chi può dirlo?

Penso a tutto questo cercando di incastrare il mio bicchiere per l’acqua in un contenitore in pelle. Il bicchiere è un cono e senza il suo sostegno non starebbe in piedi. Mai.

E’ una trovata simpatica, che cancella il tintinnio del vetro. Non fa rumore quando lo appoggi sul tavolo.

Mi perdo nel panorama esterno: una enorme distesa di bianco, capace di illuminare anche questa notte buia. E allora mi chiedo, ancora, di nuovo: ma se un albero cadesse e nessuno fosse lì per ascoltarlo, produrrebbe un suono?

Mi accorgo della riflessione fin troppo zen e cerco di concentrarmi sulla cena. In fondo sono qui per questo…

Mi trovo in Francia. A Courchevel: una splendida località di montagna in Alta Savoia. Impossibile dimenticarsene: sembra vogliano ribadirlo ad ogni portata. Sono ospite de Le 1947, il ristorante di Yannick Alleno, chef tre volte stellato e proprietario anche del locale parigino Pavillon Le Doyen.

Le 1947, invece, sorge nel cuore di un meraviglioso giardino alpino, nel palazzo del gruppo LVMH (che vanta tra i suoi marchi più prestigiosi Bulgari e Louis Vuitton), interamente a disposizione dell’hotel Cheval Blanc Courchevel. Un paradiso di camere e suite che garantiscono l’accesso al più grande comprensorio sciistisco del mondo, la zona di Trois Vallées.

Il ristorante si trova nel seminterrato del palazzo: vi si accede prendendo l’ascensore e percorrendo un corridoio che finisce proprio su un ingresso sferico e sulla cucina. E’ possibile visitarla: c’è la zona per i piatti freddi, per quelli caldi e un punto particolare in cui le pietanze vengono finite, anche in presenza dei commensali. Ospitati in cinque tavoli, da due posti l’uno, per un totale di dieci coperti.

Come già detto il tema di Le 1947 è il colore bianco. E la location è davvero da capogiro: meravigliosa, moderna e fashion. Strapromossa.

Mi viene portato il menù, accompagnato anche da una lente di ingrandimento per poter leggere meglio: per fortuna ancora non ne ho bisogno. Si deve scegliere il The Principal cioè il main course: la portata più importante. Posso optare tra: Hilly (agnello), il Moutain (pesce di fiume), SubAlpine (astice) e Alpine (wagyu).

Con l’indice indico la parola Hilly e mi preparo a gustare l’amuse bouche. Si comincia con un finger food: due piatti, uno contenente olio, l’altro con la polvere di pistacchio. Il dito va messo prima nell’olio e poi nel pistacchio, prima di infilarlo in bocca. Simpatico e d’effetto.

Poi due tartellette con tartufo, polvere di tartufo e del formaggio fresco.

E infine un riccio composito: due gusci l’uno sopra l’altro, dei quali il primo presenta un foro, al fine di far scivolare l’acqua di riccio che gli viene versata sopra. Gustoso e bello a vedersi. Chiudiamo con un cucchiaino di riso, sesamo e aloe vera e iniziamo a pensare ai vini.

Esistono due carte al Le 1947: la prima indica vini locali, l’altra, invece, si chiama Chateau Cheval Blanc. Parliamo di un castello inaugurato proprio nel 1947 che produce vini di proprietà di Cheval Blanc e dunque di LVMH. Scelgo un rosso: un Les Fiefs de Lagrange del 2005. Ottenuto da vigne che hanno un’età media di circa 30 anni, si compone per un 55% di Cabernet Sauvignon, per un 41% di Merlot e per un 4% di Petit Verdot. Dal colore rosso rubino, rivela note di frutti neri e rossi e i suoi aromi mentolati e speziati gli regalano un’anima davvero elegante.

Continuiamo con un panino cotto ripieno di un mix di fois gras e tartufo. Il panino viene aperto, il fegato ricomposto dalle cameriere al tavolo e inserito in quarto di panino.

Poi una pietra calda con del lardo spezzettato: va leccato alla fine della portata e dopo aver degustato una ciotola ripiena di capesante e succo di capasanta.

Immancabile il burro: una prima tipologia normale e una seconda mischiata ad una pianta locale che cresce in Alta Savoia.

Passiamo alle portate più importanti: capasanta strapazzata, french toast e topping di caviale oscietra. Il piatto è squisito: il voto è 9+.

Arriviamo finalmente all’agnello, servito in 3 portate diverse: una specie di torta, un triangolino con sopra delle mele e una piccola insalata di spinacino al tartufo; una base di erbe aromatiche del posto, e parti dell’agnello adagiate sopra: il fegato con il tartufo, la costata, il filetto, scottati su dei carboni ardenti al tavolo; infine agnello, polenta, zabaione e noce moscata serviti con un piccolo pesto di basilico.

Interessante la portata successiva: al tavolo viene condotta una cocotte con dentro una pasta che sta lievitando. Dopo circa 15 minuti la pasta, ormai abbastanza lievitata, viene portata in cucina e cotta, prima di essere servita ai commensali. Alla base di questa torta ci sono spezie e frutta secca, per dare gusto.

Proseguiamo con i formaggi locali, un pane molto interessante sulla cui superficie è incollata un’ostia con la bandiera della Savoia.

Chiudiamo con il fil rouge: il dessert. Tantissime portate, tra le quali spiccano le pere caramellate, un sigaro di cioccolato e caramello, un dolce con mango e castagne, un’interessante cheesecake giapponese e infine un confetto per concludere.

Considerazioni finali: Le 1947 è uno dei ristoranti tristellati migliori in cui ho mangiato. Location elegante e di lusso, grande rispetto dell’ospite e qualità dei piatti altissima. Forse qualcosa si può rivedere nei prezzi, ma tutto sommato il giudizio non può che essere alto.

Quattro barbe.

 

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