Quattro diversi percorsi degustazione, oltre a Ramen e Manga Maki, permettono agli ospiti di conoscere la vera gastronomia nipponica in una cucina di memoria e contemporaneità
Itadakumasu in giapponese significa buon appetito. La gastronomia tradizionale del Sol Levante, il “Washoku”, famosa in tutto il mondo per le sue antiche e ben radicate tradizioni culinarie – nel 2013 è stata riconosciuta dall’UNESCO Patrimonio Immateriale – ha trovato in Italia ampio seguito in virtù di ricette sane ed equilibrate che mettono al centro elementi come il riso, il pesce – impiegato prevalentemente crudo -, le alghe, il wasabi –ottenuto dal ravanello giapponese – e il quinto gusto, l’umami.
Il gusto del “saporito” che in Europa definiamo sapido, deriva dalla parola giapponese “umai”, termine coniato nel 1908 dal dottor Ikeda, chimico giapponese che per primo scoprì nel brodo di alghe konbu la presenza di un gusto diverso da tutti gli altri.
Dalle zuppe ai finger food preparati secondo le regole della cucina kaiseki ryori, una cucina che include tante piccole portate con all’interno alcune in stile omakase. Omakase significa invece fidarsi, affidarsi dunque allo chef in quello stretto rapporto di fiducia che si instaura tra il cliente e il cuoco al quale è rimesso il compito di indirizzare il piacere a quell’iniziale buon appetito.
Il cibo in Giappone non è mai solo “cibo”, ma si lega alla storia, alla stagionalità e a una fortissima componente estetica. Il “Moritsuke”, vera arte dell’impiattamento, tiene conto di un’attenzione maniacale per gli spazi, la forma e il colore. Poi c’è la ritualità, i gesti della tradizione nipponica che diventano un vero viaggio esperienziale.
A Scarpizzolo, nella Bassa Bresciana, la passione per la cucina etnica dell’imprenditore Luca Imberti, personaggio lungimirante da oltre 30 anni nel settore della ristorazione, mette insieme tutti questi elementi per dare forma a Siseroshi, il ristorante giapponese che ripercorre le strade della vera “locanda giapponese” in un mix di culture (patron italiano, sushi master ucraino), provenienze e competenze per renderla unica ed eccellente allo stesso tempo. Alla guida della locanda non profondi occhi a mandorla ma il giovane e talentuoso ucraino Vitaly Dovbenko.
Classe 1992, si è formato in Italia al fianco di diversi chef giapponesi come Hitoschi Toshisa, Naoyuki Kuwana e Takashi Kido dove ha fatto propri i segreti dell’arte culinaria nipponica. Dai suoi numerosi viaggi in Giappone ha portato con sé la sensibilità di un popolo che vive di precisi rituali. Lentezza, cura, scrupolosità sono le attitudini dapprima ascoltate e osservate, e infine assimilate per poterle riproporre in ricette antiche realizzate come opere d’arte.
Quattro diversi percorsi degustazione – Wagyu (5 portate), Kombu (6 portate tra cui il Takoyaki e il Kakuni), Miso (8 portate tra cui il Gyndara, carbonaro nero dell’Alaska marinato nella salsa miso e yuzu) permettono agli ospiti di conoscere i veri sapori di una cucina memoria e contemporaneità, con l’alternanza di “Atatakairiōri” (piatti cucinati), Sushi e Sashimi realizzati secondo le usanze, e piatti di Ramen. Il “Kakuni”, pancia di maiale sgrassata, cotta in soia, cipollotto e zenzero, caramellata con salsa Teryaki, servita con Daikon stufato e riso Gohan precede la “Zuppa di miso”, brodo dashi, miso e pesce del giorno saltato con sake e mirin.
Il “Chashu Ramen”, udon di grano in brodo di pollo serviti con maiale brasato e arrosto, uovo marinato, spinaci, funghi enoki, cipollotti, alga nori e il “Tantanmen”, udon di grano in brodo di pollo e sesamo serviti con maiale stufato e sminuzzato, pakchoi, germogli di soia, cipollotto, uovo marinato e olio di sesamo piccante, insieme allo “Shabu Shabu”, piatto tipico cucinato al tavolo in condivisione con brodo dashi, manzo wagyu, verdure, funghi, tofu e udon di grano accompagnati da salsa ponzu, salsa al sesamo, salsa di soia cucinata e tsukemono (verdure fermentate) sono un trionfo di gusto, folclore, mito, narrazione. Il Takoyaki, il polpo morbido in tempura, salsa otafuku, maionese e katzobushi vuole da rituale una scarpetta per cui se non ti lecchi le dita godi a metà.
Cucina nipponica tradizionale e miscelazione. Siseroshi amplia la conoscenza dei sapori giapponesi con una carta cocktail che prevede drinks che raccontano storie e abitudini, anche di consumo. Basti pensare al rito del sake, 47 diverse prefetture, un diverso e perfetto grado di “pulizia” del riso, la purezza dell’acqua di fonte viene. Servito freddo, è abbinato a qualsiasi portata. Eccellenti i cocktail come Ginto, Gin, tonica allo yuzu, zest di lime e wasabi fresco o Mahò, Umeboshi, more, rum chiaro, lemon grass, tonica allo yuzu.
“Sono estremamente convinto che la cucina giapponese non sia solo sushi o tempura. È un meraviglioso mondo fatto di combinazioni di ingredienti, materie prime speciali, prodotti stagionali, gesti precisi e ricette che richiedono lunghe cotture, marinature e varie tecniche di cucina. La cucina tradizionale giapponese è storia, cultura, estetica e gusto”. (Luca Imberti)