Di origine tedesche, è stato uno tra gli chef italiani chiamati a rappresentare la cucina laziale ad Expo 2015 e quando gli si chiede qual è il prodotto che non deve mai mancare nella sua cucina risponde: l’olio d’oliva.
Oliver Glowig classe 1970 è modesto, con i piedi ben saldati per terra e non si sbilancia mai troppo, al punto da non riuscire ad indicare il nome del suo chef preferito: è impossibile stimare uno chef che sia il migliore, viste le così tante e disparate cucine che esistono nel mondo.
E quando invece si prova a ricordargli che nelle critiche di settore da molti è descritto come un maestro, risponde:
“mi fa piacere di sicuro, ma bisogna sempre stare con i piedi per terra. Io credo che nessuno sia Dio, siamo tutti sulla terra e c’è sempre da imparare e crescere”
– Oliver Glowig –
La curiosità da bambino, quando i genitori lo portavano a mangiare nei ristoranti, si tramuta immediatamente in uno stage in cucina da ragazzo, per poi approdare in Italia e per la precisione al Capri Palace, dove sperimenta i suoi primi approcci con la cucina nostrana e poi a Roma all’Aldrovandi di Villa Borghese.
Ed è proprio questa esperienza tra il mare di Capri e la tradizione romana a dare oggi vita ad uno dei suoi piatti più rinomati: le eliche cacio e pepe con alci di mare. Nei suoi menu non compaiono inflessioni tedesche, perché come afferma lui stesso, la sua cucina è sicuramente italiana, con la cucina tedesca non ha più nulla a che fare. E forse più che italiana sarebbe meglio dire romana: Glowig è tra i pochi chef stellati a utilizzare il “quinto quarto”, le cosiddette frattaglie tanto impiegate nella cucina povera della Capitale, un ingrediente a suo dire di carattere, dal sapore forte e deciso proprio infondo come piace a lui.
Modesto ma anche chef di cuore al punto da nominare i menu della sua carta con i nomi delle sue due figlie Aurora e Gloria, per aver la sensazione di averle sempre lì vicino a sé ogni volta che chiama le comande.
E poi la sensibilità verso il mondo femminile: “le donne non possono mancare in una cucina, creano un buon ambiente”, non stupisce dunque che sommelier e pasticciera del suo Aldrovandi siano proprio due donne. Ed è proprio con la sua sommelier che Oliver Glowig è riuscito anche a selezionare da qualche tempo un ottimo champagne della casa, prodotto dalla maison francese Mathieu Gandon.
A chi obietta che il suo Aldrovandi sia comunque uno tra i più costosi ristoranti della Capitale, Glowig risponde: “noi non siamo un ristorante dove si va a mangiare tutti i giorni, si viene per un evento, per stare bene”.
A parte le materie prime, Glowig gestisce infatti uno staff di ben 23 persone per un massimo di 30 coperti a sera e – a parte i costi di gestione – assicura che quello che si acquista andando a cenare nel suo ristorante è un’esperienza sensoriale che comincia al momento della prenotazione fino al momento di alzarsi dal tavolo.
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