E’ lo chef del momento, intervistato e ricercato da tutti, ma Marco Martini preferisce stare in cucina piuttosto che rispondere alle domande. Sono i piatti a parlare per lui.
Classe 1985, nato in provincia di Roma con una carriera agonistica da rugbista alle spalle, Marco Martini è un ragazzo fisicamente fiero e robusto. Un ragazzo che ha fatto molti sacrifici, quegli stessi che lo hanno rafforzato e rinvigorito ancora di più. Un inizio come ragazzo consegna pizze a domicilio, poi le prime esperienze in veste di aiuto cuoco in alcuni ristoranti della zona. Nel 2006 approda nella cucine di Antonello Colonna, dove rimane per circa sei anni. Il suo primo stipendio di 800 euro lo incassò dopo un anno di lavoro, ma, finalmente, la sua luce inizierà a brillare: arriverà infatti il ruolo di Executive Chef all’Open Colonna di Palazzo dell’Esposizioni dove riceve la prima stella Michelin.
“Colonna mi ha insegnato quanto costano gli spaghetti”, perché alla fine la ristorazione è fatta di conti. E al suo Stazione di Posta i conti, da un anno a questa parte, vanno più che bene: sono in media 50 i coperti al giorno, per un totale di 6 servizi a settimana, una brigata di 6 persone che arriva a fare, sì e no, 123 anni tutti insieme. Oltre alla stella Michelin, la più grande soddisfazione per uno chef è proprio quella di avere il locale sempre pieno. E anche riguardo al successo del suo locale, Martini ha le idee molto chiare: è la qualità del gruppo, del team, a fare la differenza. Non a caso in cucina con lui c’è Enzo Paolicelli, sous-chef da quasi 8 anni, un connubio forte e duraturo che sembra saldarsi ancora di più nel tempo.
“Quello che sono è tutto quello che sta in un piatto”
– Marco Martini –
Per capire bene la cucina di Marco Martini bisognerebbe gustare tutti i 32 piatti in menù, ma se proprio deve dare un’indicazione sui suoi due cavalli di battaglia la scelta ricade sul Raviolo al vapore, pollo alla cacciatora e brodo di patate arrosto, un incontro tra oriente, occidente e casa della mamma, e il Merluzzo Pata Negra e arancia amara che ricorda invece quando s’inzuppava il merluzzo lesso nella maionese montata a casa. Quindi tecnica, estro ma anche e soprattutto ricordi d’infanzia. Tra gli ingredienti che non devono mai mancare nella sua cucina però, ne indica tre fondamentali: rinuncia, sacrificio e forza di volontà.
E in questo particolare momento in cui tutto è puntato sull’immagine e facilità di giudizio, Marco intervistato e ricercato ultimamente da tutti, lamenta oltre alla difficoltà di parlare con le persone tutto il giorno, anche il fatto che ai giudizi e alle critiche dovrebbero sostituirsi le osservazioni: prima di tutto perché si rispetta il lavoro di 12 ore che fa da 13 anni e poi perché il cibo è esperienza e non cinematografia. “Parlare con le persone è molto difficile, stare in cucina 15 ore per me è molto meno pesante”.
Per il futuro, invece, di energie Marco ne ha ancora tante e, adesso che sta per diventare papà, ancora di più, visto che le responsabilità sono sempre più grandi. Dove sarà poi tra qualche anno, se ancora a Stazione di Posta o altrove, è ancora impossibile dirlo, quello su cui però è certo di poter fare affidamento è una grande sicurezza: quella di poter cucinare in tutto il mondo. “Se domani devo portare il mio menu a Londra o in Spagna non cambia nulla, la difficoltà non esiste”.
La cucina è civiltà, cultura e tradizione e, cosi come un giapponese viene qui a fare la propria cucina, Marco non avrebbe alcun problema domani a spostarsi a Londra piuttosto che in Spagna.
Il futuro per lui è roseo perché l’ha voluto, se l’è creato e a tutt’ora lavora “tosto, duro e a testa bassa” per renderlo sempre più solare. Quindi zero paure, zero problemi.
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