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Il ramo di salice che lega la vite, dal 2014 intreccia le storie di tre giovani vignaioli: Daniele, Marco e Nicola riscoprono la Cannaiola

Nulla presagiva la nascita de Il Vinco prima del 2014. Daniele Manoni, Nicola Brenciaglia e Marco Fucini, amici fin dall’infanzia, conducevano le loro attività in autonomia. Allevatore di mucche con laurea in scienze politiche uno, olivicoltore l’altro, orafo il terzo. Galeotto fu l’amore, quello di Daniele finito male. Lasciato dalla ragazza, preso in cura dagli amici, fa un viaggio trasversale nelle degustazioni fino ad addentrarsi nel bosco dei vini naturali. La scintilla fra i tre scocca fulminea: “Mi piaceva vedere le mani sporche dei contadini che narravano i loro vini”.

Sul lago c’è un fermento notevole, nascono tante cantine naturali. “Eravamo alticci quando abbiamo deciso di provare anche noi: le migliori e le peggiori decisioni si prendono da brilli”, Daniele ne è convinto. La Cannaiola è femmina. Qui, sul lago di Bolsena, il vitigno autoctono italiano, conosciuto altrove come Canaiolo o Canaiolo Nero, è residente a Marta fin dal XVI secolo. “Essendo anche noi del posto, la scelta è venuta spontanea”. Era un vitigno poco nobile che versava nelle condizioni di estinzione: in tutto il paese se ne contano tra i sette e gli otto ettari. “Gli anziani di Marta avevano appreso la notizia con grande entusiasmo. Qualcuno ci ha dato i propri vigneti a uso gratuito, altri a un prezzo simbolico. Novellini, entravamo in vigna con i libri in mano e ci avvicinavano per trasmetterci il loro sapere”, c’è gratitudine nella voce di Nicola. Partiti con risorse scarsissime, la prima vendemmia arrivò senza preavviso e senza strumenti per la vinificazione. “Fortuna che Alessandro Occhipinti ha sposato il nostro progetto, così le prime 2500 bottiglie le abbiamo prodotte da lui. In un mese abbiamo venduto tutto, anche all’estero: qualcuno ha creduto in noi in Belgio e in Danimarca”.

Questa del 2019 sarà la loro quinta vendemmia e le cose si fanno più serie: in previsione di 15000 bottiglie circa ed è appena nata una nuova cantina dove, al fianco dei vecchi tini di cemento avuti in regalo, c’è spazio per le botti di legno in cui affinare il Sangiovese e il Procanico. Affascinati dall’energia dei terreni vulcanici che hanno tra le mani, dal 2017 cominciano a sperimentare il metodo biodinamico nelle loro vigne di Cannaiola, Procanico, Rossetto e Malvasia. Una è a piede franco sul suolo tufaceo, dà vita a grappoli piccoli con acini gonfi di succo concentrato. Qui ricavano circa 700 bottiglie di “Rosso delle Macchie”, un vino da trama complessa e corpo esile, fedele all’indole della Cannaiola. Le quantità maggiori provengono dalla vigna a terrazzo sul lago: la vista è da togliere il fiato. Il terreno franco-sabbioso conferisce a “Canajò” leggerezza. È fresco e vivace, sincero e promettente come un puledro. Descrizione che vale anche per Il Vinco.



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