Nella nostra intervista esclusiva, Paolo Mastroberardino racconta la visione della cantina irpina Terredora
Terredora. C’era una volta. È così che iniziano i racconti. Quelli che accompagnano la buona notte dei più piccoli e quelli che noi più grandi cuciamo per un respiro più intenso di vita. Perché la forza del racconto è proprio lì, nel suo potere di conquistarsi uno spazio di eterno in un mondo fatto di storie e voci sorde.
È in questo spazio che si colloca il racconto di Terredora di Paolo, un racconto che trasmette e tramanda, ma, cosa veramente rara, trasuda emozione. In una storia che dura secoli, Paolo Mastroberardino ha iniziato dal 1994 un nuovo racconto. La terra, la sua amata terra, è il centro di ogni suo calice.
Le montagne dell’Irpinia sono un bacino tra i più importanti di Europa. Un bacino che offre una climatologia particolare. Un lungo corridoio che da nord a sud chiude quelle terre tra i monti; gli stessi che le separano da un lato dall’Adriatico e dall’altro dal Tirreno. Il clima continentale porta grandi freddi e nevicate, ma restituisce il caldo che, con i suoi venti di scirocco, asciugano il tutto.
I vitigni, partendo da queste peculiarità climatiche, riescono a regalare delle sensazioni aromatiche particolari. A tutto ciò si aggiunge la sapiente opera di cantina che non tradisce, dalla buccia al mosto, anzi esalta le prospettive qualitative. I lieviti, dagli indigeni a quelli selezionati, vanno poi a complessare queste situazioni iniziali e una buona permanenza sulle fecce completa il lavoro.
È così che i vini di Paolo Mastroberardino raccontano il regalo che madre natura ha concesso. Ma è nella sua immensa umiltà, quella di un grande uomo prima e di un lungimirante imprenditore poi, che la sua voce traspira sulla nostra pelle in un brivido di emozione.
Come e quanto i suoi vini possono garantire un futuro all’Italia del vino?
La domanda è complicata… sicuramente ognuno di noi deve ricordare di preservare e raccontare ciò che madre natura ci ha donato: il nostro territorio, la terra, il clima, la sua ricchezza che è fondamentale per la creazione di un buon vino. Per quanto riguarda me, sarò sempre grato perché vivo e lavoro in una regione baciata dal Signore, la Campania che già 4000 anni fa concedeva il vino come cultura.
È chiaro che da allora ad oggi la scienza ci ha dato la prospettiva di una maggiore e migliore qualità. Quello che ci proponiamo di fare noi è mantenere un equilibrio e restare nei termini di una equazione: rapporto qualità-prezzo rivolto al consumatore e qualità-eleganza per quanto riguarda l’aspetto produttivo.
Non tutti ragioniamo così oggi perché la scelta più facile porta la maggior parte a legarsi alla massificazione e alla globalizzazione dei mercati: producono per produrre reddito e basta.
La mia è una famiglia che ha speso la sua storia negli anni a cospetto della ricerca e della qualità. Oggi ho l’onore di rappresentare l’ottava generazione e accompagnare la nona iniziata con me al suo fianco e ancora viriamo verso quell’orizzonte: continuiamo a percorrere la via segnata dai nostri avi cercando di migliorare quello che ci è stato trasmesso e tramandato.
La cultura è bella se ha una continuità, la tradizione è qualcosa che riusciamo a portare avanti grazie anche alla svolta migliorativa.
Cosa chiede al suo vino?
Per me il vino deve avere delle caratteristiche di cortesia, gentilezza, eleganza, piacevolezza, armonia e potrei continuare all’infinito. Vorrei che regalassero ai palati il piacere di un altro sorso, questo vorrebbe dire che il prodotto ha fatto centro sull’emozione del nostro meccanismo di gratificazione mentale.
E poi succede che il suo vino fa centro anche sui palati tecnici dei degustatori…
Sicuramente questa è una cosa non facile da gestire però è il massimo che ci si può augurare. Ma dal basso della mia esperienza dei miei 42 anni di lavoro so che c’è ancora tanto su cui lavorare e migliorare.
E su cosa deve migliorare il grande Paolo Mastroberardino?
Credo che ci sia tanto ancora da fare. Tant’è vero che su tutte le nostre produzioni da un po’ di anni abbiamo messo a punto un sistema che lavora sulle curve di maturazione delle uve. Osserviamo le uve a partire dal 20 agosto periodo in cui generalmente inizia l’invaiatura al momento in cui le uve sono mature.
Con un intervallo periodico di 7-10 giorni ripetiamo le analisi sulle uve, uve che sono campionate per parcella che non supera i tre ettari e rappresentano omogeneamente tutta la parcella. Quando gli elementi tra la curva di maturazione sono in equilibrio fra di loro si inizia con la fase della vendemmia. Questo ci permette di portare in cantina uve perfette ed equilibrate che regalano il meglio di sé e ci aiuta a ottenere caratteri unici e tipici che offrono i nostri prodotti.
Terredora di Paolo è la certezza che un altro vino è possibile, guardandosi in dietro ma con il vento in poppa e con il cuore sempre in avanti.