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A Vignola un format nuovo, creato da giovani capaci e con tanta voglia di crescere

Ci sono parole, termini, capaci di racchiudere in pieno il senso di un intero articolo. Questo non tanto per un dono di sintesi proprio di chi scrive (tutt’altro), quanto per l’estrema attinenza e coerenza che permea la filosofia di un locale.

Fermento: ecco la keyword giusta per introdurre l’ambizioso progetto di Noblesse bar cocktail e Oblige.  

Ci troviamo a Vignola (MO), splendido borgo emiliano e patria dell’ormai celebre “Durone”. Nelle immediate vicinanze della Rocca, proprio di fronte a Palazzo Barozzi, vive e respira a pieni polmoni questo nuovo concept. Ma bando alle ciance e andiamo a scoprire nel dettaglio le peculiarità di questa freschissima realtà.

Noblesse bar cocktail

Un ampio dehors limitato solo dalla maestosità di Palazzo Barozzi; interni moderni, raffinati e scaldati da un’illuminazione soffusa e delicata. Cuore e anima di questo moderno cocktail bar è Christian Sotira, bartender e co-founder di Noblesse.

Classe 1993, Sotira rappresenta il prototipo dell’enfant prodige dietro al bancone: eclettico, creativo e sobriamente folle, con un know-how di tutto rispetto.

Vignolese di nascita, Christian ha nei geni anche un innato senso dell’ospitalità che lo rendono, oltre ad un bartender di successo, anche un ottimo padrone di casa, degno della tradizione dei migliori osti emiliani.

I cocktail rispecchiano e trasmettono appieno la passione e la sana follia del loro ideatore, in particolare il ricordo di un uramaki, ove la vodka, insaporita dal salmone affumicato, viene magistralmente abbinata a sakè, salsa teriyaki e una golosa chips di riso e alghe.

Menzione d’onore, inoltre, per un cocktail fresco e perfetto apripista per una cena importante: alla tequila viene addizionato un fermentato di carote e zest di arancio amaro. Il risultato è decisamente corroborante.

Anche dal punto di vista analcolico, Noblesse si difende bene, lo staff abbina freschissimi estratti di frutta fresca (seguendo rigorosamente la stagionalità) a erbe e aromi tipici della flora italiana. Il risultato racconta di cocktail freschi e adatti a quest’estate così afosa.

Oblige restaurant

Solo una porta divide Noblesse da Oblige, una soglia che, come passaggio segreto, catapulta l’avventore in un locale che fa dell’eleganza, dello stile e della sobrietà il proprio marchio di fabbrica. Un rigore morbido, accarezzato sia nell’estetica, con colori vivaci e chiaroscuri, che nella sostanza, attraverso un personale di sala attento, cortese e mai pedante.

Motori di questo ambizioso progetto sono Sebastiano Randieri e e Fabio Venturelli, rispettivamente chef e maître di Oblige.

Sebastiano, trentenne siracusano, può già vantare un ottimo curriculum, scandito da esperienze lavorative di alto livello che hanno ampliato i personali orizzonti culinari. Già dagli entree è possibile captare una frequente ma mai invasiva nota orientaleggiante, come nel caso dei fermentati giapponesi. Ciò è attribuibile alla collaborazione di Randieri con lo chef Luca Landi. 

La cucina di Oblige

Assolutamente da segnalare il biscotto morbido allo zafferano con colatura di alici, baccalà mantecato e maionese di pompelmo bruciato. Un orchestra di sapori, che si susseguono incalzanti: all’agrumato del pompelmo segue la salata corposità del baccalà, sapientemente smorzato dalla nota dolciastra del biscotto allo zafferano.

Nel benvenuto dello chef fa capolino anche un pizzico di tradizione emiliana, oltre che l’immancabile carezza asiatica; è in questo contesto che si inserisce il bao di semola, lingua di vitello arrosto, salsa verde e maionese di aglio nero.

Ma non sono solo asiatiche le influenze nei piatti di Sebastiano; nell’animella con indivia alla brace, beurre blanc, alloro e liquirizia si palesano chicche francofone, incamerate dallo chef durante la fortunata esperienza alla corte di Mauro Colagreco.

Come avrete già compreso, la cucina di Randieri è raccontata attraverso sapori rotondi, intensi e in alcuni casi lussuriosi come nello stinco di vitello cotto a bassa temperatura. Già quello di servire lo stinco a giugno inoltrato è un azzardo che fa capire come in cucina non si abbia paura di osare. Quello che rende grande questo piatto apparentemente semplice è il magistrale gioco di temperature che si crea tra lo stinco e le patate; un caldo-freddo capace di alleggerire una portata notoriamente poco light. Ad educare il tutto un aromatico olio al rosmarino.

La cena si conclude con un parfait al miele, yuzu, gelato fior di latte, polline e tè matcha. Dessert in cui varie consistenze si danno battaglia su toni corposi ma delicati che ti fanno alzare da tavola con un sorriso.

Fondamentale in sala la presenza di Fabio Venturelli, giovane maître competente e appassionato che tra lambruschi (uno metodo classico mentre uno primitivo) e qualche gemma friulana, affabula e culla l’ospite con il suo spiccato accento nostrano, che a noi emiliano-romagnoli regala sempre allegria e aria di casa.

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