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Il titolare dell’omonima azienda friulana, personaggio molto dibattuto, ha messo d’accordo tutti con le sue bottiglie

Tra gli appassionati di vini naturali, sono in pochi a non conoscere le etichette Bressan. Per un motivo o per un altro, colpiscono fin dal primo sorso. Ma è nel sentirli raccontare dalle persone che li producono che si ha il quadro completo. E il Vinitaly 2019 ci ha dato questa occasione.

Il tutto ebbe inizio nel 1727. “Nel 1727? – chiediamo increduli – Esatto. A Farra d’Isonzo il vino si fa da secoli, tant’è che il cognome di Fulvio proviene dai baroni de Bresciani, a cui i primi coloni pagavano i dazi con il vino. Ma è dalla nascita di Giacomo Bressan che contiamo la nostra storia enologica”, – spiega Elena, donna che ha sposato la vita e le viti di Fulvio Bressan. Il suo racconto è come un fiume in piena, straripante della passione per il loro vino e per la loro famiglia.

“Ci sono stati alti e bassi e, soprattutto, ci sono state tante guerre in mezzo che hanno precluso un fluido fiorire della nostra viticoltura nei secoli. E poi ci fu il papà di Fulvio, Nereo Bressan, che decise di riprendere in mano la situazione e di investire, insieme alla moglie, tutte le loro forze nella coltivazione delle viti. Erano i primi anni ’60, la campagna veniva abbandonata per la città e l’agricoltura per l’industria” , prosegue Elena. D’un tratto appare chiara la spiegazione di quella nitida solidità dei loro vini: le radici delle vigne e dei vini Bressan affondano in quel terreno che, pur essendo passato di mano da una nazione all’altra, pur avendo vissuto la gloria e la carestia, testimonia e custodisce l’attaccamento alle proprie origini di otto generazioni di vignaioli friulani. Un’eredità di grande peso.

L’azienda di Fulvio e Elena ha venti ettari, tra cui due nel Collio, con vigneti di età tra i 25 e 120 anni. Pignolo è quello più anziano: “Circondato dal bosco, non è stato intaccato dalla filossera”. E mentre il Friuli, e il Collio in particolare, sono noti soprattutto per i vini bianchi, il suolo di Farra d’Isonzo è particolarmente vocato per i rossi, in quanto ricco di ferro. La produzione annua varia da quasi zero a trentamila bottiglie. “Quasi zero?”, chiediamo ancora una volta stupiti a Elena. “Tutti i nostri vini fanno macerazione sulle bucce. E’ proprio nella buccia che si concentrano tutte le sostanze chimiche utilizzate nell’arco del ciclo vitale di una pianta. Quindi, le nostre uve devono essere sane, non trattate chimicamente, e, in alcune annate, portarle alla maturazione senza imbrogli in vigna, diventa un’impresa impossibile. Per esempio, nelle annate 2002 e 2005 non abbiamo prodotto quasi niente. Dall’altro canto, crescendo senza diserbanti e irrigazioni, ora le nostre viti hanno sviluppato un discreto bagaglio di anticorpi naturali”.

Partiamo con la degustazione della batteria presente al banco di Vinitaly Organic Hall, e qui, una premessa sulla filosofia produttiva è doverosa. Fulvio è dunque l’ottava generazione dell’azienda. Porta nel suo DNA una sapienza secolare, una conoscenza connaturata del terroir, arricchita con gli studi in Italia e in Francia. Decide lui il volto dei vini di questo periodo storico dell’azienda adottando una “filosofia unica” della produzione: non ci sono i top della gamma, non ci sono i secondi vini, ogni vino è l’espressione massima del terroir. Rese bassissime e una meticolosa attenzione per il benessere dell’uva in vigna, dai tre ai dieci anni di elevage in cantina solo nei legni non tostati di castagno, gelso, pera selvatica, acacia e rovere di Slavonia. Vini intensi e verticali, fini e potenti.

  1. Carat 2016 è un’espressione classica del Collio, dove le uve – Friulano 80%, Ribolla Gialla 10% e Malvasia Istriana 10% – fermentano insieme, costruendo un’unica personalità armonica. Un mese sulle bucce, poi tre anni di affinamento in legno contribuiscono al vino una vivace e carezzevole complessità di aromi fruttati e floreali.
  2. Verduzzo Friulano 100% secco 2015. Maturato in legno di gelso per anni, il risultato è un bianco particolare: leggermente tannico, dritto e persistente con il profilo gusto-olfattivo che spazia dai fiori di campo, alla frutta di polpa bianca, al miele d’acacia, e alla mandorla verde.
  3. Moscato Rosa secco 2015, vitigno di origine austriaca, dove è normalmente usato per la produzione di icewine. Si fa in poche annate poiché è un’uva che deve essere perfettamente matura per evitare l’eccesso di amaro nel vino, ma per natura è soggetta alla caduta del fiore che preclude la sufficiente quantità d’uva in vendemmia. Affina nel legno di acacia come voleva la tradizione friulana. Nonostante lunghe macerazioni e affinamento in legno, performa uno straordinario carattere varietale.
  4. Pinot Noir 2012. Studiando in Francia, Fulvio si era innamorato del Pinot Noir e ha portato a casa cloni antichi del vitigno. Il territorio di Farra si è mostrato estremamente adatto poiché, oltre al terreno ferroso, il grappolo compatto del Pinot viene asciutto dall’aria portata in abbondanza dal fiume Isonzo. Lunga macerazione e permanenza in acciaio con successiva maturazione nei fusti di rovere per cinque anni e affinamento in bottiglia. Vino elegante, nordico, con profilo olfattivo da grandi Pinot Noir: sottobosco con il suo fogliame bagnato, bacche di rovo e tartufo.
  5. Schioppettino 2012 è il vino bandiera dell’azienda. Vitigno tipicamente friulano, fa un elevage prolungato nel rovere di Slavonia con successivo affinamento in vetro dando un vino snello e elegante, con profumi di lampone e muschio.


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