La mente umana non smetterà mai di sorprendermi. Quanta capacità di euristiche, quanto apprendimento, quanta abilità. Lo penso mentre mi roteo tra le dita le classiche bacchette giapponesi da pasto. Nemmeno fossi la cheerleader di una qualche università americana. Solo cinque giorni fa, per quanto le avessi usate molte altre volte, mi apparivano come oggetti strani, insensati e anche piuttosto fastidiosi. Ora mi sembra di non poterne fare più a meno, di non poter mangiare senza. Che siano una naturale prosecuzione della mia mano. Che siano sempre esistite.
Più o meno la stessa sensazione che trasmette Hyotei Tamago, tra i ristoranti più antichi dell’intero Giappone. Mi trovo a Kyoto, città di quasi un milione e mezzo di abitanti, posta al centro esatto della nazione. Per quanto sia meno blasonata di Tokyo, la capitale, Kyoto può vantare mille particolarità. Intanto, essendo stata risparmiata quasi per intero dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, viene considerata come un gigantesco reliquiario, grazie all’enorme quantità di templi che la riempiono e che la rendono anche sito protetto dell’Unesco.
Tra i “mille” santuari che si possono visitare, quello di Nanzen-Ji è forse il motivo principale che ha portato alla nascita di Hyotei Tamago, sorto la bellezza di 400 anni fa (!!!) proprio per dare riparo ai fedeli in pellegrinaggio al tempio. Ai viaggiatori veniva offerto il tè e un particolare piatto di uova sode, riproposto ancora oggi. La ricetta, identica a quella di quattro secoli fa, viene custodita con grande attenzione dalla famiglia Hyotei, che può vantare ben 17 generazioni di chef.
Al ristorante si entra tramite una stradina fatta di ciottoli. Si viene accolti da un giardino molto bello e molto curato, circondato da cascate e un piccolo rivolo d’acqua che gira intorno al locale: un fiumiciattolo. Le sale, alle quali si accede proprio dal giardino, sono davvero interessanti: vengono riservate alle coppie e a gruppi composti da un massimo di sei persone. Gli altri commensali possono accomodarsi, invece, nella sala centrale, che mostra molte più sedute. Chiaramente richiedo la sala più intima, che prontamente mi viene concessa. A terra c’è il classico futon: tappeto al pari del pavimento, mentre le sedie sono sostituite da cuscini, sui quali ci si può accomodare infilando le gambe in due fessure all’interno del pavimento. La location è meravigliosa: peccato che la lunghezza del pasto (circa due ore) rischia di rendere tutto molto tedioso.
Mi perdo ad osservare i vassoi con i quali i piatti vengono serviti al commensale: bellissimi, antichi, usurati. Alcuni, mi spiega la signora in abiti tradizionali giapponesi che mi accompagna nella mia esperienza enogastronomica, hanno più di un secolo. E hanno visto mangiare migliaia di ospiti. Ho i brividi.
Ecco il menù: non sono un critico, lo sapete. Mi descrivo come un semplice avventore e non volendo mai giudicare le tecniche di cottura (molto semplici da Hyotei), mi limiterò a unicamente a raccontarlo.
Sakizuke: ark shell, cockle, scallop & cibol, with vinegar e miso. E’ un piatto composto interamente di molluschi: le telline, le capesante, tutto condito con aceto e miso.
Mukozuke: sashimi of Tai (red sea bream) from Akashi, basic soy sauce, new style soy sauce made from tomato, young laver, umbellifer and wasabi. Un sashimi di orata, servito con un paio di versioni di salsa di soia (basica e al pomodoro), alghe e wasabi.
White Miso Soup: classica zuppa di miso.
Hassun: le famose uova sode di Hyotei. Accompagnate da un sushi di Ama-Dai, un gambo di zenzero, del pesce fritto, piccole porzioni di burro fritto e uova di cetrioli di mare.
Wanmon: milt, like tofu with sea urchin, grilled prawn covered with oil, bamboo shoot, Young greens, Yuzu. Figatello con tofu e ricci di mare, gamberi grigliati ricoperti di olio, Yuzu e alghe a completare il tutto.
Takiawase: Japanese radish, clam, Japanese leek e yuzu. Daikon (una sorta di ravanello nipponico bianco) e porri giapponesi, vongole e yuzu.
Yakimono: charcoal grilling butterfish with konowata (salted entrails of sea cucumbers), Rapeseed blossoms with sesame sauce. Filetto di pesceburro cotto sul carbone con interiora salate di cetrioli di mare, fiori di colza con salsa di sesamo.
Uzuragayu: rice porridge with quail&vegetables. Un porridge di riso con quaglia e verdure.
Infine i dessert: Mizumono e Omogashi.
Ecco forse i due dolci finali sono i piatti che mi hanno deluso un po’ di più: Omogashi è un bignè dolce con una crema all’interno, davvero misero; Mizumono, invece, è una sorta di macedonia di frutta di stagione, nel mio caso arance e fragole messe su un piatto senza nulla a pretendere. Triste e povero.
Tra le cose, invece, che mi sono piaciute di più c’è il tè giapponese, il green tea, dalla fragranza intensa e dal sapore ottimo. Mi viene servito assieme ad acqua, vino rosso (di cui nessuno ha specificato nome, provenienza e annata) e del sakè.
In conclusione quello che mi ha colpito di più di Hyotei Tamago è stata la sua storicità: è un posto molto antico, dove si respira cultura e tradizione. Da ammirare anche i mille utensili usati dallo staff: piccole ciotole capaci di finire la cottura, recipienti inseriti nell’acqua calda, i vassoi di cui vi parlavo…
Nonostante tutto questo, il mio voto non può essere altissimo: per gusto, attesa per i piatti e anche costo. A mio avviso troppo elevato.
Voto finale 2 barbe e mezzo.