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“Dicono che c’è un tempo per seminare

E uno più lungo per aspettare

Io dico che c’era un tempo sognato

Che bisognava sognare”

(C’è tempo – Ivano Fossati)

Ho poche regole. Le ho scelte anni fa, senza nemmeno accorgermene, con la cura che si può avere per le cose che si fanno in maniera automatica. Le ho scritte su foglietti bianchi immaginari, facendo attenzione alla calligrafia, assicurandomi fosse la più bella possibile. Poi le ho infilate in tasche invisibili dell’anima e ho lasciato fossero loro a scadenzarmi la vita.

Una di queste regole è che c’è un tempo per ogni cosa.

C’è il tempo per divertirsi e poi quello per essere seri. C’è il tempo per parlare e quello per ascoltare. C’è il tempo in cui picchiare e quello in cui subire. “C’è tempo, c’è tempo, c’è tempo, per questo mare infinito di gente” come canta Ivano Fossati.

E’ una convinzione che nessuno potrà mai togliermi. Sebbene pensare in questa maniera significhi quasi ragionare per compartimenti stagni. Chissenefrega. Non saprò portare avanti più cose parallelamente, ma so riconoscere i momenti. E’ questo è uno di quelli in cui bisogna stare immobili ad ascoltare la natura.

Oggi il mio tempo lo voglio passare qui: in pieno relax, appena appoggiato a splendidi tavolini rotondi, ricoperti di una sola tovaglia bianca. Sotto questi ombrelloni, in compagnia esclusivamente di fiori e piante e di uno strepitoso aperitivo al limone.

Sono un uomo di città: mi muovo senza problemi tra traffico, parcheggi inesistenti e meravigliose boccate d’aria al sapor di smog. Ma la campagna su di me ha un fascino che non riesco a spiegare. Mi completa l’essere, si insinua in ogni poro della pelle, mi riempie lo sguardo, allargandolo addirittura. E oggi voglio godermela tutta questa natura: anche perché ho avuto la fortuna di incrociare una giornata superlativa, con un clima e una temperatura davvero fantastici.

Sono ancora in Belgio, a Kruishoutem, una cittadina a 50 chilometri da Bruges. Qui sorge Hof Van Cleve, il ristorante gioiello dello chef Peter Goossens. Tra i talenti più sfavillanti della cucina europea, valutato addirittura dalla guida Millau con un punteggio di 19.5 su un totale di 20, il cuoco belga propone una cucina molto più tradizionalista di quella del vicino Hertog Jan. Nonostante le sue mille esperienze in giro per il mondo, Goossens ama realizzare piatti con prodotti locali o, al limite, della vicina Francia. Immaginate che il menù che ho scelto “Freshness of Nature” è studiato come fosse “To Market”, cioè con tutto quello che si potrebbe trovare al mercato. 

Si comincia con una serie di amuse bouche: gli antipasti vengono serviti nella sala esterna di cui vi parlavo. Non ci sono tovaglioli né posate. Le pietanze si possono mangiare con le mani e sono buone, fresche, interessanti e divertenti.

Si comincia con una tartelletta ricoperta di pomodoro disidratato, gelèe di pomodoro con uno strato di mozzarella e una mousse di mozzarella. Poi una sardina con succo di miso, una pallina di sorbetto al limone, aglio nero e una cremina di piselli a farcire. Un cannolino di wagyu fatto con la lattuga, un uovo di quaglia, una patata soffiata e una salsa di basilico. Il fegato di pollo servito a mo’ di foie gras con composta di carote, melone e funghetti e infine un totano cucinato con zucchine, sesamo caramellato, erba cipollina e Jamon iberico.

Prima di cominciare con il menù vero e proprio (che si rivelerà una vera e propria esperienza culinaria della durata di 5 ore) decido di sfogliare la carta dei vini. Interessante, importante, addirittura profonda oserei dire, con vini di moltissime nazionalità. Optò per un Jordan del 2006: uno chardonnay davvero espressivo e dai forti sentori di limone. Un ottimo prodotto.

Il pranzo comincia con Scottish Salmon “Orkney”: un piccolo trancio di salmone scozzese, appena scottato. Il piatto bianco, leggermente fondo, sembra non avere contenuto: in realtà è tutto all’interno dei pomodorini, messi a testa in giù, tagliati da un lato e riempiti di una mousse di burrata. E’ un elemento che lo chef utilizza molto. C’è anche una parte fredda costituita da una ciotolina con dadini di salmone, conditi con aloe vera.

Si passa poi a Langoustine “Guilvinec”: uno scampo condito con sale nero, accompagnato da una composta con base di patate, zucchine e a chiudere la mozzarella. C’è anche una spuma fatta con lo stesso scampo, quinoa croccante e una salsa “alla francese” con burro mantecato col succo di scampo. Sopra al piatto troviamo anche olive taggiasche triturate.

Continuiamo con Small Monkfish: una coda di rospo a base verde e una zuppa dashi. Si tratta di un fumetto di pesce (molto utilizzata nella cucina giapponese di cui Goossens è un grosso esperto), con prezzemolo disidratato, cavolfiori tagliati sottilissimi, cozze e patate a completare il tutto.

Poi Duck Liver: chiaramente foie gras con ciliegie e mandorle fresche.

Prima di assaggiare il piatto successivo cioè Holstein Beef, il cameriere si avvicina con un tagliere di legno. E’ riempito di coltelli, che mi viene spiegato sono realizzati a mano da un artigiano del posto. I manici sono fatti con denti o corna di animali differenti, dal rinoceronte all’elefante. Io scelgo quello ricavato dai denti del tricheco. Il coltello servirà a tagliare la carne di manzo, preparata con funghi, un asparago, patate a quadratini scottate e un succo di mimolette: un formaggio olandese tondo, a pasta arancione. Alla base troviamo anche del cappuccio bianco.

Avvicinandoci al dolce chiudiamo con Raspberry: yogurt di lamponi, con del the ai frutti rossi.

Infine il vero e proprio dessert Chocolate Van Dender “criolo” 70%: un rettangolino di cioccolato, accompagnato da un gelèe di mela preparata a mo’ di succo, gelato al the nero, albicocche e gelato alle mandorle.

Soddisfatto e felice come un bambino, decido di alzarmi per effettuare la mia solita visita ai bagni: li trovo straordinari, pulitissimi e apprezzo la presenza dei saponi Jo Malone.

Prima di salutare chiedo un’ultima cosa: un the alla polvere di matcha che ho visto utilizzata in moltissimi piatti. Me lo servono di nuovo nella sala esterna, insieme a dolcetti molto delicati come sfoglie alla crema e chiaramente. E’ proprio qui che viene a trovarmi Madame Goossens, la moglie dello chef che purtroppo non è al ristorante. Mi accoglie con un sorriso splendido e soprattutto vero. Si interessa al mio roadtrip, apprezza tantissimo la nostra rivista e mi comunica che il pranzo è stato offerto. Cerco di declinare l’invito, ma capendo che non c’è verso di farle cambiare idea, decido di lasciare una lauta mancia in segno di ringraziamento. Madame Goossens, visibilmente provata dal servizio, mi lascia allora in compagnia del capopartita, un italiano, Marco Stagi che continua a spiegarmi i segreti di Hof Van Cleve. Consegnandomi un sacchetto che viene regalato a ogni cliente e che contiene ancora dolcetti e un libro che parla dei loro trent’anni di storia, Stagi mi racconta di come questo ristorante riesca tutti i giorni a fare il “pienone” sia a pranzo che a cena. Non me ne sorprendo, nonostante non sia al centro di una città molto popolata. La cucina, infatti, è strepitosa, una delle migliori mai provate in vita mia e il servizio all’altezza. Lascio il ristorante soddisfattissimo.

Voto finale 4 barbe.

  

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