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La lancetta piccola, quella dei secondi, scatta in maniera inesorabile. Prevedibile. Quasi rassicurante.

Quarantadue.

Ticchettii impercettibili ma precisi mi rimbalzano in testa. Raggiungono il cervello utilizzando la via preferenziale che gli forniscono le dita, in particolare il pollice e l’indice, che stringono il quadrante dell’orologio in attesa. Di cosa poi? Mi sembra quasi di averlo dimenticato.

Quarantatré.

Che delusione. Tutto quello che ho visto fuori di qui faceva presagire ben altro, non certamente questo misto di improvvisazione e dilettantismo con il quale mi sono dovuto confrontare.

Quarantaquattro.

Avete presente quando dopo una serie di mosse funamboliche riuscite ad avvicinare la ragazza più carina della festa? Ecco. E avete presente la delusione che provate non appena apre bocca e se ne esce con una serie di banalità fuori dal comune, pronunciate tra l’altro con una voce stridula e vagamente irritante? Perfetto: allora potete capire come mi sento.

Quarantacinque.

Già quarantacinque: i minuti che sono trascorsi da quando ho finito di mangiare. Tre quarti d’ora e nessuno mi è venuto a chiedere niente. Se mi sono trovato bene, se ho ritenuto il cibo di mio gradimento, se mi è piaciuta la degustazione di vini e birre. Se sono vivo, addirittura! Tutto il personale è concentrato su un evento particolare (di cui poi vi parlerò) che divide la sala a metà: da un lato gli eletti dall’altro gli anonimi. Io, chiaramente, sono nel secondo gruppo.

Quarantasei.

Ecco avvicinarsi il maitre, nonché sommelier, nonché proprietario. Mi sorride coprendo i pochi metri che ci separano. Non sa quanto sono arrabbiato ma se ne accorgerà presto. Giusto il tempo di arrivare al tavolo.

Cantami, o Diva, del Barbuto Uomo delle Stelle

L’ira funesta…

Mi trovo in Belgio, a Zedelgem, cittadina a pochi km da Bruges, dove ha sede Hertog Jan, il ristorante tre stelle Michelin dei due co-proprietari: Gert De Mangeleer, chef e Joachim Boudens, sommelier e maitre di sala. Con location un antico fienile del 1834 perfettamente ristrutturato, Hertog Jan vanta un orto esterno da brividi nel quale sono coltivate il 90% delle materie prime utilizzate nei piatti. Una meraviglia verde: quella che avevo visto all’esterno e che mi aveva fatto ben sperare. All’interno, però, la situazione è completamente diversa: De Mangeleer sta cucinando a sei mani con due cuochi giapponesi. Lo chef, per quanto sia giovane, è una personalità in Belgio: lavora in un ristorante molto quotato e per di più è uno dei volti più apprezzati della Tv. Per questo motivo, più di metà sala è riempita da commensali, circa 40, che si sono mossi solo per assaggiare i piatti prodotti in questa fusion. L’ala più sfortunata e anche meno popolata (saremo sei in tutto) viene lasciata molto a se stessa: basti pensare che i piatti ci vengono portati da stagisti giovanissimi che non sanno altro, oltre al loro compitino. Davvero una pessima figura: probabilmente il peggior servizio al quale ho assistito nel mio road trip. In Belgio devono imparare ancora molto per capire bene cosa è la ricettività…

Passiamo al pasto vero e proprio: esistono diversi menù da Hertog Jan. Io come al solito opto per una via di mezzo scegliendo Intensive Experience.

Sfoglio la carta dei vini, molto scarna e poi mi diletto a cercare la cantina: per quanto nessuno trovi il tempo per farmela visitare, la guardo da fuori e mi pare bellissima. Piccola ma stupenda. Sottoterra. Ricca anche di birre. Decido di provare un duplice accostamento e non ricevendo nessun tipo di suggerimento da parte dei camerieri-stagisti, chiedo di poter parlare con il sommelier. Joachim Boudens arriva al tavolo piuttosto svogliato, mi ascolta e in trenta secondi mi liquida. Altra delusione.

Ad aprire le danze, come al solito, l’amuse bouche: un biscotto salato al gusto di anice, ricoperto di fiori di campo commestibili e accompagnato da un formaggio fresco e pomodorini. Poi una fetta di avocado, con pomodoro disidratato a coprire e una tartare di pane e pomodoro, simile a una “panzanella”. Infine una composta di patate, molto vaporosa e morbida, con caffè, vaniglia e formaggio Edamer.

Rifletto sulla cucina dello chef: quando si hanno materie prime così delicate e buone, basta ricercare un abbinamento serio, equilibrato e ponderato. Tutto il resto passa in secondo piano. Ecco perché credo che i piatti del cuoco belga siano buonissimi ma assolutamente semplici. Al limite del banale.

E’ il momento della birra: una Wild Jo, blond, cioè una chiara da accompagnare a del caviale fresco, contenuto in delle striscioline di zucchine che fungono da contenitori. La birra, anche con una gradazione piuttosto alta (tra i 7 e i 9 gradi), autoctona presenta un colore biondo dorato bellissimo. In più la sua caratteristica fragranza fresca e delicata fa sì che si sposi bene con il sapore forte del caviale.

L’ultimo antipasto consiste in una composta di prodotti: cipolle, fiori di campo, erbette, quattro differenti tipi di pomodoro, acqua di pomodoro e un piccolo frutto.

La tartare di Maccarello, borragine e succo di olio e ciliegia è introdotta da un vino croato: un Krauthaker Graševina Mitrovac. Un bianco interessantissimo che nonostante le sue note calde, arrotondate e vibranti non riesce a togliere il gusto di grasso della portata dal palato. 

Assaggio un altro vino: Bastingag, Clos de l’Elu, un bianco francese, molto minerale, vanta un inizio molto grasso e un finale pulito da note di agrumi; e poi un’altra birra: una Rodenbach, caractère rouge. Dotata di un’ampia varietà di sapori, dai frutti rossi, al caramello, fino alla frutta acerba, presenta un colore ambrato piuttosto intenso.

La bevo degustando l’aragosta con barbabietole rosse, cremina di aragosta e un fiume di burro. Piatto fastidiosissimo. Da bocciare.

L’agnello, invece, accompagnato da zucchine, emulsioni di patate, melanzane e una crema verde di basilico (piatto buono, ma nella norma) lo mangio sorseggiando un Vinatigo Ensamblaje tinto, un rosso spagnolo, dai profumi decisi e dal sapore forte.

Dopo aver assaggiato una selezione di formaggi belgi, si passa alla piccola pasticceria. Nulla di eccezionale: qualche tortina, un macaron e pochissimo cioccolato. Altro grande errore.

Pronti a tornare indietro come nei film? Questo è un blog circolare, che finisce esattamente dove è iniziato. Eravamo rimasti al maitre che si avvicina al mio tavolo dopo 45 minuti di attesa.

“Capisco l’importanza dell’evento – lo anticipo prima che possa proferire verbo – ma non sono un cliente come tutti gli altri? Pretendo di essere trattato come tutti gli altri!”

Joachim Boudens accusa il colpo e si scusa. E’ troppo tardi. Neanche lo sconto sulla degustazione di vini può sedare la mia rabbia.

Me ne vado dando uno sguardo ai bagni: davvero molto belli. Tra l’antico e il moderno. Almeno quelli.

Voto finale: una barba e mezza.

Ps Proprio nell’istante in cui mi appresto a terminare il mio blog, mi arriva una mail: è firmata Joachim Boudens. E’ mortificato: si scusa per il servizio scadente e mi invita a riprovare la cucina di Hertog Jan. Chiaramente come loro ospite. Apprezzo il gesto ma non cambio di una virgola il mio pensiero e la mia valutazione. Una seconda opportunità, però, voglio concederla: tornerò presto a Zedelgem. In fondo tutti possono sbagliare come tutti hanno il diritto di poter rimediare.



One Comment

  • Rinaldo Boccardo ha detto:

    Non sono d’accordo.. sull’ultima considerazione… Andai in un ristorante, consigliato da un amico gourmet. Non mi trovai bene. Quando ci tornai, riconosciuto, ricordo che il proprietario mi accolse con “… allora si è trovato bene!”. Ricordo che pensai ” No, sono tornato, perché NON mi sono trovato bene..” . Insomma, una seconda possibilità si dà. Ma quando si sottendono tecniche, filosofie, approcci culturali ( e colturali ) e, chiaramente, si presenta un conto da matrimonio… dev’essere come un matrimonio: buona la prima, niente errori, sbavature, pecche; perché magari è l’unica volta che ci andremo nella vita, perché non tutti i clienti sono ececutive..
    P.S. nel ristorante di cui sopra torno da dieci anni

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