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Il calcio, come sapete, è la mia seconda passione dopo l’enogastronomia.

Non posso farci niente: il solo vedere un pallone rotolare sull’erba mi dona una felicità incredibile. Vecchie reminiscenze d’infanzia, probabilmente.

Il calcio, il gol, la giocata, i tifosi, i cori, le coreografie, i minuti che passano, le speranze disattese, quelle realizzate. Tutto questo ha una funzione quasi terapeutica su di me.

Non posso farci nulla.

Se vedo un ragazzino correre su un prato, magari minuscolo, ai margini di una strada, non posso fare a meno di fermarmi a guardarlo. Ammirato. Praticamente ipnotizzato.

Immaginate, quindi, se mi posso mai perdere una partita alla Tv.

A casa, in albergo, perfino in viaggio grazie ai mille dispositivi che ora lo permettono, non faccio altro che cercare una partita. Non importa di quale campionato o competizione.

In un punto preciso della giornata, se ho bisogno di rilassarmi, accendo il televisore e comincio a cercare ventidue “eroi” che rincorrono una sfera.

Come sapete spesso, sfruttando il mio road trip, tra un ristorante e un altro, ne approfitto per vedere qualche partita dal vivo. E come potrete immaginare, ho nella cartella preferiti del mio iPhone, ogni possibile sito che parla di calcio. In qualsiasi lingua.

Una volta, proprio scrollando uno di questi portali, mi imbattei in una foto: ritraeva due signori e un bambino. O meglio un calciatore e un ex. Un dio assoluto del pallone e uno splendido fuoriclasse. Parlo di Diego Armando Maradona e di Sergio El Kun Aguero.

Forse non tutti sanno che Aguero, giocatore del Manchester City e pilastro della Nazionale argentina, ha avuto un figlio (Benjamin) da una delle due figlie di Maradona, Giannina. E forse ancora meno sanno che Messi, altro alieno del pallone, ha più volte chiesto ad Aguero di poter battezzare Benjamin, senza veder realizzato il suo desiderio.

Ricordo che vedendo quella foto pensai: “Figlio di Aguero, nipote di Maradona e  con un probabile padrino come Messi. Caro Benjamin, la tua vita è cominciata davvero senza ansie!!”.

A parte gli scherzi non deve essere semplice nascere come “figlio di…”. I cognomi, specialmente se scritti sulle spalle di una maglia, pesano eccome. Il confronto non smetterà mai di perseguitarti. Ci sarà sempre qualcuno che dirà: “Eh, ma il padre era tutta un’altra cosa…”

Discorso che solo un fuoriclasse assoluto potrebbe ribaltare.

In tutti i campi.

Di esempi virtuosi ne abbiamo. Non moltissimi ma comunque ce ne sono.

Il primo che mi viene in mente, legato al calcio, è Paolo Maldini.

Il padre Cesare era stato capitano storico di un Milan entrato nella leggenda, capace di vincere, con la fascia al braccio, quattro Scudetti e una Coppa dei Campioni. Paolo, come raramente accade, è riuscito a fare molto di più, sfatando la frase: “Nessuno è profeta in patria”.

Proprio a Milano e proprio nel Milan, Paolo, si è laureato Campione d’Italia per ben sette volte, alzando la Coppa dalle grandi orecchie 5 volte. Senza contare le Coppe Intercontinentali: addirittura tre.

Non fossilizziamoci sul pallone. Cerchiamo di spostarci sul campo che più mi si addice, quello della cucina. Dove l’esempio più lampante risponde al nome di Georges Blanc.

Oggi mi trovo a Vonnas, in Francia, una piccola città a quasi 50 km da Lione. Qui sorge un piccolo borgo: il Village Georges Blanc. Una sorta di “paese nel paese” che al suo interno mostra una vigna, un laghetto, una boulangerie, negozi in cui poter acquistare tutto quello di cui si ha bisogno, due piscine esterne, una interna con la Spa e ben due alberghi. Dentro al più lussuoso (un cinque stelle per intendersi) trova spazio il Georges Blanc, uno dei ristoranti più antichi di tutta la Francia e probabilmente d’Europa.

Nato nel 1872 come punto di ristoro per i viaggiatori, ha visto la sua prima svolta nel 1900 quando la nonna di Georges, Elisa Gervais detta la “Mère Blanc”, decide di prendere in mano la cucina. Cuoca formidabile, negli anni ’30 non solo viene insignita da ben due stelle Michelin ma riceve anche il titolo di migliore cuoca del mondo dal principe della gastronomia dell’epoca Curnosky.

Georges Blanc, il nipote, cresciuto tra la nonna e la mamma, non si lascia per niente scoraggiare dal passato della sua famiglia. Enfant prodige della cucina, prende le redini del ristorante nel 1968, a soli 25 anni, raggiungendo la consacrazione nel 1981, quando conquista contemporaneamente la terza stella e il premio di miglior ristorante dell’anno dalla guida Gault&Millau.

Quello che si può notare, non appena entrati nel ristorante, è il suo stile antico: per niente diverso da quello che doveva avere circa 120 anni fa. La location punta molto sul legno, sulla pietra e la cucina è enorme e a vista. Georges Blanc, nonostante i suoi 73 anni, si aggira ancora tra i fornelli, controllando con occhio vigile il lavoro della sua brigata, ora capitanata dal figlio Frédéric.

La prima cosa che mi colpisce è la carta dei vini: profonda e interessante. La cantina vanta la bellezza di 130.000 bottiglie da circa 3.000 denominazioni.

Di menù, invece, ce ne sono solo due: quello con i piatti storici del ristorante e l’Images de Vonnas, per il quale opto, scegliendo la versione “light” da cinque piatti invece che sette.

Decido di accompagnarci un Puligny-Montrachet Premier Cru Clos de La Garenne del 1999, Maison Joseph Drouhin: parliamo di uno chardonnay dal colore dorato e brillante, con aromi raffinati di bianco spino, mandorla fresca, albicocca, frutta candita, frutta secca e nocciola. Dotato di una buona struttura può vantare anche un retrogusto lungo che lascia il palato ricco di sensazioni vellutate.

Prima di iniziare con i piatti veri e propri, al tavolo vengono portati diversi tipi di pane fatto in casa e del burro, agli agrumi e affumicato.

Si comincia poi con le cosce di rana (piatto mai mangiato in un ristorane tristellato) presentate con una maionese al limone e una composta di asparagi e wasabi. Gli ingredienti sono riconoscibili grazie al colore della salsa, innanzitutto, e anche al suo tono leggermente piccante.

E’ il momento della triglia rossa, cucinata con due patate soffiate, degli scampi totalmente sgusciati, vongole e un fumetto di crostacei ristretto e molto forte.

Si passa poi all’astice accompagnato da un cannellone realizzato con due spaghetti, uno di colore nero l’altro di colore bianco, e una maionese al limone.

Poi il pollo: petto di pollo, pancake di patate, cipollotti, salsa realizzata con foie gras, champagne e funghi, delle spugnole.

In una terrina a parte, invece, viene servito il fegato del pollo e un biscottino sempre a forma di pollo. Purtroppo questo piatto sono costretto a rimandarlo indietro: al suo interno, infatti, trovo un pelo. Mi viene riportato dopo alcuni minuti. Chissà perché capita sempre a me…

Concludiamo con i dessert: piccoli pasticcini al cocco, agli agrumi e al burro d’arachidi e una buonissima meringa fatta di limone e arancia capace di rinfrescarti il palato in maniera meravigliosa. Ci accompagno un Symphonie de Novembre Jurancon Domaine Cauhapé. Si tratta di un vino dolce, complesso ma delicato, con aromi straordinariamente intensi di agrumi esotici, frutta matura e ananas.

Dopo aver pagato il conto e scambiato quattro chiacchiere con lo chef, davvero molto simpatico e alla mano, mi ritrovo fuori dal ristorante per ragionare sul mio giudizio.

Impossibile negare che il servizio e la cucina di Georges Blanc siano davvero di altissimo livello. Come è impossibile notare che i piatti del ristorante di Vonnas sono molto simili a quello di qualsiasi altro tristellato francese.

Il genio di Blanc, però, così come il rigore e la classe del suo locale non possono non essere premiati.

Voto finale tre barbe e mezza.

 

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