Una mattina, scrollando la timeline di Twitter, mi imbattei nel profilo di una ragazza. Credo avesse ritwittato uno dei miei blog. O forse commentato uno dei miei mini video.
Non ricordo bene.
Fatto sta che attirò la mia attenzione. E in un nano secondo, prima che addirittura potessi rendermene conto, il mio pollice aveva già cominciato a stalkerarle la vita virtuale. La foto-profilo la ritraeva a mezza busto: gli occhiali sul naso, la mano destra a sollevare i ricci neri in una sorta di strana acconciatura, la bocca impegnata in una smorfia.
Una ragazza alla quale veramente non si poteva dire nulla. Ma simile a migliaia di altre. Con il solo punto a favore di aver interagito con le mie parole.
Fu, infatti, soprattutto la sua descrizione a colpirmi. Non le solite lettere a rincorrersi. Non le classiche righe, l’una dietro l’altra, utilizzate per raccontarsi e magari accompagnate da emoticon rivedibili. Non le varie attività che questa ragazza realizzava durante il giorno. Nulla di tutto questo.
Una sola frase. Secca e geniale.
Ego-sostenibile.
La trovai una definizione pazzesca. Vera. Mia.
Aderente al mio essere come un vestito realizzato da un sarto abile ed esperto.
Io sono esattamente così. Mi sostengo, sostenendomi. Se mi passate il gioco di parole. Non posso evitare di fare cose che mi esaltino e divertano. Cose che mi rendano vivo e felice di esserlo.
Ecco perché alcune attività mi riempiono molto più di altre. A volte fino al punto da diventare imprescindibili.
Ecco perché alcuni particolari non posso fare a meno di notarli. Registrarli. Viverli.
Quando entro in una famosa boutique che vende caffè e ascolto i commessi parlare con quella voce suadente e in perfetto italiano di grammatura della polvere e piantagioni sud americane, io prima sorrido e poi volo.
Lo stesso avviene quando prendo appuntamento in uno degli store dell’azienda più famosa al mondo per la produzione di computer e smartphone. Quando arriva il mio turno, l’inserviente con la maglia blu mi chiama per nome. Il mio e quello di nessun altro. Sta cercando proprio me!
Non vi pare qualcosa di meraviglioso?
Tutto questo lungo preambolo per dirvi che il tavolo che ho davanti agli occhi rientra nella categoria di cose di cui vi stavo parlando. E’ davvero una figata.
Un tavolo che vorrei come compagno per una festa, una serata particolare o una rimpatriata tra amici.
Un tavolo, che potrà ospitare una dozzina di persone, attorno al quale passerei gran parte delle ore della mia giornata.
Un tavolo al quale sono seduto a chiacchierare con Klaus Erfort.
– Chef – gli chiedo tra una risata e l’altra – ma perché questo tavolo ha questa particolare forma a V? –
– Vedi Uomo delle Stelle – mi spiega il cuoco tedesco – la parte incava dà sulla mia cucina. Quando i camerieri escono con i piatti in mano, fanno meno fatica a servire. E’ tutto molto elegante, professionale e scenografico. Non trovi? –
Non posso che annuire con la testa. Pensando che il mio prossimo compleanno, insieme a dodici amici scelti, lo vorrei festeggiare proprio qui.
Oggi mi trovo a Saarbrucken in Germania. Dove dal 2002 ha sede Gastehaus il ristorante di chef Erfort. Nato proprio in questa cittadina vicinissima a Lussemburgo e al confine con la Francia, il cuoco tedesco, dopo aver girovagato per il globo e aver lavorato per le più importanti cucine d’Europa, ha deciso di tornare “a casa” ed aprire un ristorante di altissimo livello. Erfort è stato un enfant prodige del mondo enogastronomico, se pensate che la prima stella l’ha conquistata a soli 21 anni.
Non è semplice raggiungere Saarbrucken: è distante 200 chilometri dall’aeroporto di Francoforte e un centinaio da quello di Metz. Ma la bellezza di Villa Sehmer ripaga ogni tipo di stanchezza. Parliamo di un’antica costruzione del 1880, fatta realizzare da un industriale di nome Theodor Sehmer, e utilizzata da Erfort come strepitosa location del suo locale.
Gastehaus si trova al centro della città, in una delle vie principali e più trafficate. Il palazzo, che a prima vista può essere tranquillamente scambiato per il Municipio, vanta un bellissimo giardino. Meraviglioso in Inverno, con i suoi colori molto caldi e accesi, strepitoso in estate.
Il ristorante tutto a vetrate e distribuito in tre sale separate (una delle quali contiene quel meraviglioso tavolo di cui vi parlavo), possiede solo dodici tavoli. Il che vuol dire che, per ogni servizio, può ospitare un massimo di 48 commensali.
Vengo fatto accomodare al mio posto e in omaggio ricevo il menù e un iPad. Il primo si compone di due fogli e propone tre diversi tipi di scelte: menù completo da otto portate, quello medio da cinque e quello “smart” da quattro. Scelgo l’ultimo perché scovo al suo interno tutti i piatti più famosi di chef Erfort. L’iPad, invece, contiene la lista dei vini: è lunga e profonda. Bella e ricercata.
Chiedo al sommelier di farmene assaggiare qualche tipologia locale. Il ragazzo che mi si para davanti, giovane ma davvero molto preparato, mi boccia la scelta. Proponendomi vini tedeschi ma di un’altra zona. Accetto di buon grado e mi trovo a bere un bicchiere di Riesling, un Fritz Haag Brauneberger del 2015: di un colore giallo paglierino, al naso e al gusto richiama sentori di mela ananas e agrumi, oltre che una decisa mineralità gessosa.
L’amuse bouche arriva praticamente subito: si comincia con una tartelletta di farina, al cui interno ci sono pezzetti di salsiccia e del tartufo tritato. Poi un conetto ripieno di una tartare di manzo e caviale, un macaron con foie gras e una foglia d’oro, una tartina fatta di rapa rossa, liquida all’interno, e caviale e infine un’ostrica con gelatina di ostrica e uova di salmone.
Si prosegue con una tartare di tonno, con alla base una mousse compatta di cetriolo e un gelato alla mela e prezzemolo.
Arriva, poi, il momento del primo piatto: una mille foglie di foie gras, con sedano, pinoli, germogli di soia e soia liquida a garantire la giusta sapidità.
C’è anche spazio per la sorpresa dello chef: un piatto a base di funghi, prosciutto iberico, foglie di tartufo e tre mousse diverse di funghi, con dischi di champignon e una brunoise di champignon.
Passiamo al main course di pesce: un rombo, con carciofi in quattro cotture: in salsa, in crema, fritti e croccanti.
Cambio vino. Decido di continuare a pasteggiare con un rosso: un Kalkmergel Knisper del 2013. Di un rosso rubino acceso, questo vino vanta odori di lamponi maturi e torta di ciliegia. Al palato è, invece, possibile rintracciare sentori di chicchi di caffè tostati e prosciutto affumicato. Lungo e strutturato è ottimo da accompagnare a piatti di carne.
E, infatti, arriva il secondo main course: un filetto di cervo, con frutti rossi, una gelatina sempre di frutti rossi e un cavolo bianco tritato. Come guarnizione, invece, troviamo funghi verdi e una crema di sedano.
Chiudo con il dolce: un semifreddo di zucca, semi di zucca, gelato di zucca, una perla di vin brulé (dentro liquida e fuori gelatinosa) e una radice di prezzemolo. Infine la piccola pasticceria con marshmallow bianchi al sapore di cioccolato, marshmallow scuri al sapore di zucca, un macaron e una magdalene.
Dopo la mia solita visita ai bagni (puliti ma molto più adatti a un autogrill che a un ristorante stellato) e la mia breve e istruttiva chiacchierata con lo chef, posso dare il mio giudizio finale.
La cucina di Erfort è apprezzabile. Di ispirazione francese, i piatti del cuoco tedesco hanno due grandissimi pregi: sono capaci di esplodere in un sapore enorme e intenso e di trattare le materie prime in maniera ricercata e di rilievo.
Bravo Klaus! Tre barbe e mezza.