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Editoriale del Direttore

E si chiude un altro anno: contraddittorio, schizofrenico, caratterizzato da alti e bassi, da incertezze e entusiasmi.

La ristorazione nel postpandemia si è resettata, ha provato a ripartire, a conquistare faticosamente nuove fasce di clientela ma, soprattutto, a mantenere fedele quella già acquisita.

I risultati sono ancora troppo altalenanti, nel senso che -come dice saggiamente Paolo Teverini, uno dei più bravi chef italiani, che hanno segnato la crescita della cucina italiana moderna: “il lavoro è a macchia di leopardo, in certi giorni devi rifiutare richieste di prenotazioni, in altri fai fatica a riempire”.

Sì, il mondo è cambiato. Tanti festeggiano, altri sperano, altri ancora cercano di interpretare le nuove tendenze, che sono solo tendenze e non -come sostiene qualcuno- cambiamenti epocali. Non si deve pensare che i trend o le mode siano il futuro…

E bene conoscono questo aspetto di discontinuità le aziende del settore: la business community si interroga continuamente sul da farsi e cerca nuove strade, più efficaci e meno onerose. Certamente i mercati internazionali sono sempre attraenti, soprattutto per il vino italiano e, in generale, per tutto il Made in Italy.

Ma sarebbe un errore trascurare il mercato interno, che sta lentamente riprendendosi, nonostante inflazione galoppante e problemi di accesso al credito sempre più complessi per ristoratori e albergatori. La sempre più divaricata forbice dell’economia, poi, non aiuta a definire che faccia avrà il consumatore del futuro.

Il caro bollette, l’aumento spaventoso dei costi delle materie prime, il caos nel personale, la mancanza di formazione adeguata fanno il resto, riducendo e azzoppando i fatturati gloriosi del pre-Covid. Poi, bisogna valutare anche i cambiamenti sociali, l’evoluzione (o involuzione) del gusto, il bisogno di esclusività che un segmento di clientela sempre più forte desidera vedere appagato quando prenota un tavolo ad un ristorante piuttosto che un altro.

La confusione, insomma, regna sovrana, come scrissi in un mio editoriale dei mesi scorsi. Ma trincerarsi dietro questo dato di fatto non aiuta. Ci vuole visione, spirito imprenditoriale, investimenti. E, come ama ripetere Joe Bastianich, servono “ menti creative, vivaci, visionarie e anche… un po’ folli”.

Noi ci siamo. E voi?

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