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Tra nuove idee e ricette storiche, il Bistrot torinese di Cannavacciuolo è un dialogo continuo tra Nord e Sud. L’Executive chef Emin Haziri, dalle origini kossovare, conferma la visione dello chef tristellato di Villa Crespi

Esistono piatti in grado di abbracciare e di rendere meno virtuale, un viaggio – o un ritorno alle origini- in giro per l’Italia, in questo caso nelle regioni del Sud.

Al Bistrot Cannavacciuolo di Torino, dove è forte l’impronta dello chef Antonino nei piatti, quel viaggio e quell’abbraccio si percepiscono davvero. A partire dall’ingresso e dalle sale: accoglienti, intime e all’apparenza austere ma che si “scaldano” non appena si prende confidenza con le atmosfere degli ambienti. A colpire sono anche i soffitti i cui affreschi risalgono all’800.

La piacevolezza nel trascorrere il tempo volto alla curiosità di gustosi intrecci culturali del gusto, consiste anche nella sua collocazione. Si trova, infatti, in una delle zone che si potrebbero definire magiche della città -la Gran Madre- in disparte dai rumori urbani.

I menù, degustazione e alla carta, colpiscono per l’immediatezza della loro comprensione. Sono composti da piatti morbidi e avvolgenti; a volte “tanti ” -come si suole dire al Sud- dove i profumi e la materia prima utilizzata nella tradizione gastronomica campana si uniscono in maniera armoniosa e inaspettata ai classici della cucina torinese e piemontese, in un viaggio diretto Napoli-Torino.

Il rispetto per gli aspetti culinari tipici sabaudi trova qui un’interessante varietà di gusti e intensità fra quelle del sud e quelle del nord e che spiega, senza troppe divagazioni sul tema, come col cibo si possa ragionevolmente e semplicemente divertire.

Ecco che, allora, avendo voluto giocare col vitello tonnato, piatto simbolo del Piemonte, chef Antonino Cannavacciuolo, invogliato a insediarsi con il primo dei suoi bistrot sotto la Mole, ha “inventato” il Tonno Vitellato, piatto che dal 2012 ancora oggi è molto richiesto e apprezzato.

Una corona di tonno rosso, tagliato e presentato come un sashimi, con all’interno una delicata e tiepida salsa di ristretto di vitello. Ad accompagnare il piatto è una maionese di bottarga che ne esalta gusto ed estetica; il piatto, infine, è arricchito e completato da alghe varie.

Il viaggio culinario tra Campania e Piemonte si esprime anche in un preciso studio rivolto soprattutto ai fondi di cottura, (talvolta anche vegetali), e alle salse.

È questo uno degli omaggi che l’Executive Chef Emin Haziri offre ai classici della tradizione piemontese. Ricco della sua esperienza accanto a chef francesi, riesce a esaltare i piatti grazie al sapiente uso che riesce a fare dei fondi e delle salse. Tocco con cui va a esaltare soprattutto i grandi brasati. Ne è prova la morbida e succulenta guancia di vitello, sedano, prezzemolo, curcuma, nocciole e porcini!

A completare la fiaba gastronomica tra nord e sud è il vino. La cantina, così come la sala, è curata dal maitre e sommellier Alfredo Diafano. La carta offre importanti etichette di rossi e bianchi, piemontesi e non. Anche i distillati guardano sia all’Italia che all’Europa. Cura e ricerca toccano anche la selezione di champagne.

Possiamo ben dire che Alfredo Diafano è una componente essenziale sulla quale il locale punta fortemente per esaltare e rendere più facile il ricordo dei piatti assaggiati, dal primo al dessert.

Dopo aver degustato alcuni passaggi del menù degustazione, ho avuto il piacere di intervistare lo chef Emin Haziri.

In quali realtà della ristorazione hai avuto esperienza prima di approdare alla guida del Bistrot?

Dopo il diploma all’Istituto Alberghiero di Trieste, mi sono dedicato a un periodo di stage nel ristorante due stelle Michelin di Philippe Léveillé a Concesio, in provincia di Brescia, e da lì ho capito che il mio percorso nella ristorazione era segnato, perché io volevo fortemente intraprendere la carriera come cuoco. Le tappe lavorative milanesi da Cracco e da Bartolini, al Noma di Copenaghen e poi, ovviamente, a Villa Crespi, mi hanno dato tanta energia e voglia di fare per proseguire con entusiasmo.

In che modo, e se ha influenzato, la terra natìa, il tuo modo di cucinare?

Io sono, in verità, originario del Kosovo: quindi, come puoi immaginare, ho dovuto affrontare tante difficoltà anche nella vita quotidiana. L’arrivo in Italia è stato anche un modo di dimostrare che ero capace a fare e a dire la mia: il rigore, che fa parte del mio carattere, lo esprimo soprattutto in ciò che amo di più, la cucina. Gli insegnamenti dello Chef Cannavacciuolo sono stati arricchenti, sia sotto il profilo lavorativo che umano. Io utilizzo pochi ingredienti ma devono essere i migliori in circolazione e il loro gusto ben distinto e che, per quanto possibile, rispecchino la stagionalità.

Quali differenze hai individuato fra le modalità di preparazione nella cucina di un ristorante e in quelle di un bistrot?

Sicuramente al ristorante le dimensioni in termini grandezza di cucina e di numero dei componenti della brigata, definiscono in maniera importante il Ristorante, con la r maiuscola, nella sua progettualità e nella clientela che attira. Le dimensioni del bistrot, se così lo vogliamo chiamare, sono ridotte e l’organizzazione di tutto, da quella della brigata all’estetica dei piatti, è sottoposta ad un’attenzione ancora più sottile; derivata anche dal fatto che almeno una o due volte al mese chef Antonino supervisiona personalmente il menù che ho pensato, approva o modifica le ricette, controlla l’andamento della cucina e della brigata.

Secondo chef Cannavacciuolo, l’idea di bistrot nasce dal desiderio di dedicare agli ospiti un’esperienza che esalti il ricordo e valorizzi la tradizione gastronomica del sud che si unisce a quella del nord. Ritieni che nel tempo, in questa precisa zona di Torino, questa visione si sia modificata?

Io sono qui da tre anni, lo chef col quale è nato il bistrot è andato a lavorare nella sede napoletana. Il concetto di Bistrot come lo possiamo pensare, in stile francese ad esempio, o nella formula della spesa minore rispetto all’originario ristorante dal quale ha preso vita, per quanto riguarda la nostra realtà, la ritengo fuori luogo.

Questo è un ristorante 1 stella Michelin a tutti gli effetti dove l’esperienza gastronomica che offriamo al cliente consiste in piatti che definisco “comfort food”, che accarezzano vista, cuore e pancia. E dove ci si alza dal tavolo appagati. Può essere assimilato a un bistrot, invece, sotto l’aspetto del divertimento ad assaggiare i vari piatti e della netiquette, sicuramente meno formale rispetto al ristorante. E, per concludere, se vogliamo parlare di prezzi, la varietà di proposte portano con sé l’impronta di un certo carattere, di una persona (o di un personaggio) da rispettare e da esaltare nella sua professionalità ed esperienza in cucina.

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