Napoleone, Elisabetta II, Pablo Picasso, Thomas Mann.
Per questi corridoi, da queste porte, su alcune di queste poltrone, hanno camminato, sono passati, si sono seduti personaggi importantissimi. Figure storiche, personalità per alcuni versi mitologiche, che hanno contribuito a cambiare il corso del mondo.
Mi trovo a Basilea. Nell’hotel “Le Trois Rois”, uno dei più antichi d’Europa. Nato come locanda nel 1681 e trasformato in Grand Hotel nel 1844, al suo interno ospita Cheval Blanc, il locale di chef Peter Knogl: uno tra i 100 migliori ristoranti del mondo, tre stelle Michelin dal 2016.
La parola migliore che mi viene in mente per descrivere il posto in cui sono è: eleganza. L’entrata è imponente, il soffitto è imponente, i lampadari sono imponenti. Tutto dà una sensazione di sfarzo, diversa, però, rispetto a quella che trasmettono gli hotel francesi che ho visitato. Nella terra transalpina è tutto un richiamare il periodo del Re Sole (Luigi XIV), al “Trois Rois”, invece, noto un atteggiamento low profile, un’eleganza più soft.
All’ingresso dopo aver superato un’enorme reception e una grandissima sala da ballo, arrivo finalmente nel ristorante: piccino, così come la cucina, potrà ospitare un massimo di 25 commensali. Molti dei quali sono clienti dell’hotel. Una facciata della sala è esposta sul fiume Reno: mi lascio rapire dallo spettacolo di colori, dall’acqua che tranquilla scorre lungo il suo letto, sapendo perfettamente dove andare.
Le luci sono soffuse, sui tavoli campeggiano meravigliosi candelabri a cinque braccia che illuminano quasi per intero stoviglie e bicchieri. Mi pare un peccato: i piatti di Knogl sono famosi per essere molto colorati. Ho paura di non poterli apprezzare pienamente. Mi concentro sulle tovaglie e le posate: tutto è un susseguirsi di bianco e oro. Forse proprio per dare maggiore risalto alle portate.
A turno ricevo la visita di diversi camerieri: non sono stagisti, ma nemmeno così anziani. Avranno tutti più o meno trent’anni: li trovo chiassosi, completamente fuori luogo rispetto all’atmosfera austera e seriosa che trasmette questo posto.
Dopo aver apprezzato una carta dei vini interessantissima, con etichette alsaziane e quindi tutte di zona (ordino due bicchieri, un bianco e un rosso autoctoni molti buoni), passo al menù. Scarto quello primaverile suggerito dallo chef, troppo complicato per i miei gusti, e mi butto sulla carta.
L’amuse bouche si dimostra un’ottima entrata: mi piace moltissimo il cannolicchio. Scavato e svuotato, la sua polpa viene lavorata a mo’ di tartare e poi leggermente scottata con il pomodoro e una riduzione di aceto balsamico. Piatto bellissimo a vedersi e anche molto buono.
Tra le portate che maggiormente mi colpiscono, vi consiglio il carpaccio di scampi con la bagna cauda. Specialità tipica piemontese e utilizzata come intingolo per le verdure o il bollito, la bagna cauda in questo caso ha un colore diverso: è rosa rispetto al più classico verde. Gli scampi sono adagiati sopra, dando un effetto visivo e di sapore davvero notevole.
Come al solito decido di provare anche il piccione: lo trovo cucinato in maniera impeccabile. Morbido, bello, è servito in due cotture: una parte stufato in acqua, la coscia rosolata, in modo da poterla mangiare anche con le mani.
Per quanto abbia apprezzato la qualità delle materie prime e la ricercatezza delle presentazioni, nessun piatto mi ha fatto sobbalzare sulla sedia. Tutto mi sembra molto normale, in linea con il servizio di un ristorante tristellato.
Ho, invece, gradito tantissimo l’atteggiamento dello chef Peter Knogl: disponibile, alla mano, umile. Quest’uomo cinquantenne, per fattezze fisiche imponente come il suo ristorante, non ha fatto altro che sorridere e chiedere notizie del mio viaggio. Si vede che quella che ho ormai ribattezzato come “sindrome da tronismo” è una malattia che ha colpito solo i cuochi italiani, che dopo un paio di comparsate in Tv, si sentono rockstar inavvicinabili. Non me ne farò mai una ragione.
Voto finale: 2 barbe e mezza.