La cucina di Chef Bartolini vuole comunicare la buona tavola italiana, una fotografia sensazionale del palato.
Giocando. Nel vero senso della parola. È così, infatti, che Chef Enrico Bartolini si è avvicinato alla cucina: “da piccolo, tra le tante attività, amavo giocare con gli ingredienti”.
Scegliere il futuro a 13 anni è sempre un po’ problematico, perché seguire le orme di papà, per quanta arte ci metteva nel suo lavoro, gli era stato sconsigliato. E così a Pistoia è iniziata la sua esperienza in cucina, da un parente. Quella fu la scelta della scuola e del suo futuro.
Londra, Parigi. Capitali enogastronomiche che affascinano e chiamano il nostro chef, nonostante la nostalgia latente. Da quel febbraio 1999 è ancora in giro. Parigi più di tutte con la sua concentrazione di ristoranti e l’alto livello, è la migliore scuola. Tre anni lì sono stati la sua vera scuola. Ma la base è, e resta, l’Italia. Perché la cucina si mangia. La sua cucina vuole essere il riflesso della sua personalità, forte ma elegante.
Lo Chef Bartolini ci ha raccontato come sceglie gli ingredienti perché nella scelta c’è la volontà di esaudire un desiderio che viaggia nella mente. Scegliere ad esempio il manzo di Kobe, sorpresa per il nostro Chef, significa scegliere di dare il massimo della sua emozione nel mangiare “un pezzo di carne”. Ma il manzo di Kobe si serve dopo un bucatino creativo dal sapore di una carbonara più autentica con una cipolla ricostruita. Nel piatto non deve mancare nulla. Nemmeno le sfumature: finire e iniziare un piatto prima con la completezza e poi con tutto il resto. La cucina di Chef Bartolini vuole comunicare la buona tavola italiana, una fotografia sensazionale del palato. La lunghezza dei sapori nella visione della tradizione ma creativa. Ritrovare, così, alcuni sapori nei libri di storia e partire da lì per rinnovarli dal punto di vista tecnico, a autenticarli ancora una volta nella tradizione.
Nei sensi che esistono, l’arte in ogni sua forma, ci trasmette emozioni ed è a questo, alle emozioni, che Chef Bartolini si ispira, più che ad un artista in particolare. Un equilibrio perfetto che dura poco: nella variabilità degli elementi c’è la grande conferma della perfezione e della natura.
Quando si esprimono i desideri, le stelle si avverano. E dopo la prima, ecco la seconda. Un ristorante di 10 tavoli, una scelta di vita, una fattoria, un mondo perfetto che lo hanno portato a brillare nel cielo del gourmet. “La prima stella mi ha spinto a cambiar strada, mi ha portato alla città. Era il giorno del mio compleanno.”
Dopo 3 anni arriva la seconda. Il sentore di essere osservati, lo Chef ce l’aveva, ma la conferma fu quasi una favola. “Mi chiamano per un evento giornalistico. Insieme ad altri colleghi. Mi invitano in un hotel fuori Milano. Nel retro di un palazzo di 6 piani, facemmo tutte le scale a piedi. Il retro era quello di una platea. Da un video il responsabile Michelin ci comunicò che la divisa era lì, dietro di noi. Con apposta la seconda stella.” Una spinta e uno stimolo che ancora oggi sente forte.
Come nascono i suoi piatti? I piatti arrivano da desideri ed esperienze. Un percorso che ha un inizio magari inconscio, fino ad arrivare in tavola. Ma quando un piatto non riesce, è perché non emoziona. È come se ogni piatto debba avere una struttura, come un viaggio di fantasia anche quando l’ingrediente più bizzarro usato è stato il fegato di lumaca.
Perché in tutto:
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– Enrico Bartolini –