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Castel Noha, una struttura che ricorda un monastero francescano, un luogo solenne dove il vino ha una sacralità inviolabile in un territorio dove la cultura della vinificazione è forte

L’architettura di Castel Noha ricorda un convento, “che ho fatto riprodurre perché io vengo da una famiglia molto cattolica e molto religiosa – spiega Valentino Cirulli, biologo specializzato in enologia e innovatore del mondo del vino italiano – Qui in Umbria ho voluto omaggiare San Francesco, patrono della semplicità e della cura del pensiero. Fare vino significa esprimere anche un sentimento e le proprie passioni”. 

Qui la natura fa da padrona anche se l’azienda è poco distante dal borgo medievale di Ficulle, vicino a Orvieto (TR). Natura e storia, sono queste le basi dalle quali è partito Valentino Cirulli che ha raccontato di come è nata la sua forte attrazione per il mondo del vino. La nostra è stata una intervista ricca di riflessioni.

“Questa mia grande passione per la natura mi costa cara, ho fatto tanti sacrifici disumani per lei però le sono talmente attaccato e sono così tanto compiaciuto di vivere in campagna che qualsiasi sforzo, non ha mai limiti. Questo attaccamento deriva dal fatto che io sono nato, durante la guerra, in Abruzzo ma da ragazzino mi sono trasferito a Roma. Le vacanze le trascorrevo dalla nonna che mi ha trasmesso, in modo molto forte, l’attaccamento alla natura e alla campagna. In estate andavo a trovarla a Schiavi d’Abruzzo (in provincia di Chieti al confine con il Molise) a 500/600 metri d’altitudine, luogo dove io sono nato e dove sono le mie origini. Lì c’è uno dei siti archeologici più belli dei romani, Pietra Abbondante, che dista circa 10/12 km dal mio paese. L’archeologia è un’altra mia grande passione, la amo perché mi piace conoscere da dove e come veniamo, come siamo arrivati a questo stadio attuale un po’ fallimentare”. 

Inizia così la chiacchierata con Valentino Cirulli, patron delle Cantine Castel Noha, che racconta le sue origini e spiega il suo attaccamento viscerale al mondo naturale e ai suoi fenomeni. 

Cirulli è un uomo dinamico, dagli interessi infiniti e sempre in movimento; si può considerare una persona vulcanica, che rispetta appieno il territorio. “Aprire l’azienda -racconta-  è stato un fatto casuale. Anni fa conobbi un direttore di Monterubiaglio (paese confinante con Ficulle, n.d.r) e in tempi brevi acquistammo questa attività. Purtroppo lui ci ha lasciati qualche anno fa ma io ho continuato il nostro lavoro. Amo Orvieto perché è una bella città ma è proprio tutto il territorio che mi affascina, mi dà il senso della pace e lo trovo estremamente rilassante. Personalmente cerco di produrre dei vini senza presunzione ma di qualità molto elevata, i vitigni che ho piantato non sono autoctoni ma questo è il mio spirito, non l’ho cambiato prima e non lo cambierò mai”.

“Io sono enologo laureato in biologia e ho fatto il ricercatore appena finita l’università per quindici anni – continua Cirulli – Amo la ricerca, anzi, pensavo di fare lo scienziato di laboratorio. Poi ho capito che l’attività privata mi affascina di più perché ho una certa predisposizione per il contatto umano in quanto quando conosco e frequento gente, mi sento più ricco e questo per me è molto importante. La ricchezza culturale e sociale non finisce mai di esaudire i miei desideri, ho sempre la voglia costante di trovare, di confrontarmi, di sfidare nuovi orizzonti. È un po’ il sale della vita… non è facile nutrire tanta passione per il proprio lavoro e per le proprie attività che spaziano in più settori. Personalmente, questo dell’enologia è il più importante ma ho tanti altri interessi, come lo sport e l’edilizia che porto avanti con molta curiosità. Il bello della vita è proprio il desiderio di conoscere perché, come diceva un mio professore universitario, “bisogna cambiare lo spirito d’osservazione per diventare più ricchi”.

Valentino Cirulli, enologo per mestiere e dedizione, è un uomo che coltiva molte passioni ma il suo primo amore,  il vino e la viticoltura, deriva da molto lontano e ha radici proprio nella sua famiglia.

“Sono nato nel ‘42, durante la guerra. Avevo questa nonna all’avanguardia per quei tempi, pensate che in quel periodo già metteva i pantaloni.  Se c’è stata una persona che mi ha spinto in modo particolare verso questo mondo è stata proprio lei; ovviamente anche i genitori mi hanno supportato ma la nonna Giovina fu un esempio particolarmente attivo in questa mia scelta. Ho sempre seguito le orme dei nonni che mi hanno trasmesso una propensione naturale ad osservare la natura, a vedere tutti i fenomeni e tutte le evoluzioni che avvengono e che sono cicliche e costanti. Tutto questo mi ha portato, dopo aver fatto le scuole medie, a dover scegliere che tipo di scuola frequentare e sia dalla famiglia ma in particolare da me stesso, sono stato orientato a intraprendere gli studi in agraria. Poi quando dovevo decidere quale indirizzo prediligere, mi sono orientato verso l’enologia proprio perché nella mia casa natìa si produceva il vino che poi veniva venduto in damigiane. La produzione di vino è sempre stata fondamentale nella mia famiglia e risale a due /tre generazioni fa. Successivamente ho intrapreso il corso di enologia, ho finito gli studi e poi sono andato all’Università; anche lì dovevo scegliere una facoltà inerente alle mie naturali capacità, quindi mi iscrissi, inizialmente, a scienze naturali. Poi mi sono laureato in biologia perché offriva più possibilità di lavoro. Cominciai a fare dei concorsi, ne feci tre e li vinsi tutti. Sono stato per quindici anni tra l’Istituto di Chimica Agraria e l’Istituto di Enologia di Asti con delegazione all’Istituto Superiore di Sanità di Roma perché tutti i prodotti alimentari, specialmente i coadiuvanti tecnologici utilizzati nei cibi, devono essere approvati anche dal punto di vista sanitario. Io dovevo seguire lo sviluppo degli enzimi e dei lieviti e quando cominciai ad approfondire sempre di più l’utilizzo di questi componenti, mi ritrovai ad avere contatti sia con il mondo istituzionale e della ricerca sia con le aziende private”.

“In quel tempo -continua- compresi che c’era una possibilità, per me, di diventare un consulente ma anche un imprenditore, sviluppando un lavoro personale. Tutti mi prendevano per pazzo, mi licenziai dallo stato e, con una carriera universitaria già abbastanza brillante e avviata, mi misi per conto mio. Cominciai ad utilizzare questi coadiuvanti innovativi e biotecnologici e da lì è nata e cresciuta tutta la mia attività. Grazie al successo ottenuto, ho avuto l’opportunità di fare investimenti anche in altri settori a me cari, dall’edilizia, allo sport, passando per l’agricoltura… insomma, mi sono cimentato in più settori. Però, nonostante queste attività collaterali, l’anima l’ho buttata nelle origini, ovvero nel vino, realizzando qualcosa che avevo sempre sognato. Perché l’esempio era sempre venuto dai bisnonni, dai nonni, dalla nonna, che avevano delle piccole attività artigianali e imprenditoriali che io ho cercato di ingrandire e di migliorare. Questa che ho costruito è un’azienda, dal punto di vista tecnologico, all’avanguardia. La meccanica enologica per me è una grande gioia; negli anni ho alimentato molto questa passione, questo mio ricercare qualcosa che mi gratificasse sia dal punto di vista umano sia da quello tecnologico”.

E a proposito di tecnologia in cantina, quella di Castel Noha si può considerare all’avanguardia, grazie anche alla temperatura controllata e sotto azoto, sia per i vini bianchi sia per quelli rossi.

Nella prima cantina (che è ipogea e si trova proprio sotto la collina del vigneto Incrocio Manzoni), sono presenti vasche in acciaio di diverse misure, da 50 a 200 quintali. Tutte sono collegate a un computer, dove, tramite smartphone, vengono regolate le temperature e le lavorazioni e se c’è qualche anomalia arriva direttamente un messaggio sul cellulare.

In Italia ci sono solamente tre cantine che usano questa tecnologia (Castel Noha, Gaja e Sassicaia), così come quella dei palloni di azoto continuo per le presse, utilizzati per evitare l’ossidazione dei bianchi e per preservare i profumi e gli aromi sui vini. 

Sono inoltre presenti 385 barrique in rovere francese, utilizzate sia per i rossi sia per i bianchi.

Nella Seconda ala della cantina avvengono invece lo stoccaggio e le lavorazioni pre – imbottigliamento.  

“La nostra azienda, dal punto di vista tecnologico, ha apparecchiature che sono tutte Rolls Royce della meccanica enologica – commenta Cirulli – Anche il sistema produttivo è termo controllato e sotto azoto perché l’ossigeno è nemico del vino ma anche dell’olio e di tutti i prodotti alimentari. E io lo difendo attraverso questi meccanismi, l’azoto lo produciamo direttamente noi”.

Un vigneto, quello di Castel Noha, che si estende per 75 ettari esposti a sud/ sud- ovest tra i 200-250 metri s.l.m, dove, grazie ai terreni argillosi e calcarei, crescono vigorosi i vitigni a bacca rossa. Ma il terreno presenta anche appezzamenti con tessitura di medio impasto e con presenza di scheletro, ideali per la coltivazione di vigneti a bacca bianca.

Nonostante questa sia una zona a vocazione bianca, patria dell’Orvieto e del Metodo Classico, la produzione di vini rossi è maggiore rispetto a quelli bianchi. (Anche la cantina Cirulli produce il proprio Orvieto che trova la sua maggiore espressione ne ‘Il Dialogo’).

I rossi più importanti che escono da questa Cantina sono il San Valentino che è un blend tra merlot 80% e 20% di cabernet franc, il Ginepreta (merlot 80% e cabernet sauvignon 20%) e il Sediana che è un sangiovese in purezza.

“Per quanto riguarda i bianchi noi coltiviamo un vitigno che a me dà molta soddisfazione, ovvero l’Incrocio Manzoni, un prodotto che è stato messo a punto da Manzoni dell’istituto di Enologia di Conegliano. Da tale vitigno sto avendo ottimi e soddisfacenti risultati, dal quale ne deriva un vino molto fresco e molto fruttato, con una bellissima acidità, per cui si presta ad essere utilizzato sia per la produzione di vini sia per quella degli spumanti. L’Incrocio Manzoni non è altro che vitigno bianco e riesling ma che è anche molto versatile. Sul territorio non era molto diffuso e io invece, che lo conoscevo bene, l’ho portato e l’ho inserito nella zona. ‘Eliana’ è l’esempio più riuscito di questa tipologia di vitigno.

Ma quello che ho inserito in maniera massiva in una cantina orvietana sono i vini rossi, perché la mia azienda per il 70% è composta da vitigni rossi. Questo deriva principalmente dall’osservazione dei terreni, soprattutto quelli a giubba, che sono un po’ più pesanti e ricchi di argilla, dove ho piantato solamente i rossi. I vitigni danno ottimi risultati, le produzioni non sono elevate però ne derivano gradazioni molto interessanti con profumi eccezionali perché qui i campi hanno una bellissima esposizione a sud-ovest. Uno dei migliori prodotti è il ‘Sediana’, un Sangiovese, lo stesso clone del Sangiovese di Montalcino”.

Tra tutte le etichette prodotte, ce ne è una che ama particolarmente? Qual è insomma, il suo vino preferito?

“Uno dei vini che bevo tutti i giorni è ‘Eliana’, che è un incrocio Manzoni per l’appunto. Se devo scegliere un altro bianco direi ‘Risvegli’ che è un prodotto innovativo, per il quale sono state utilizzate tecnologie all’avanguardia. Lo abbiamo vinificato prima della fine di luglio, quando tutti ci prendevano per pazzi.

E proprio ‘Risvegli, il nome del futuro’ è stato riconosciuto tra i migliori dieci vini italiani del 2022, secondo Bibenda. I premi e i riconoscimenti che imperano sulle pareti dell’azienda, danno ragione al dottor Cirulli che aggiunge: “‘Risvegli’ deriva dal frutto di queste conoscenze, io l’ho vinificato molto presto e poi ho seguito la tecnica della stabulazione, un’altra metodologia molto importante. Il procedimento di vinificazione classica avviene mantenendo il mosto a una temperatura molto limitata, di 3-4 gradi, per un minimo di 15 giorni, invece ‘Risvegli’ c’è stato per 3 o 4 mesi. I costi per la produzione sono stati elevati ma ho ricevuto molte gratificazioni e posso dire che questo vino è il frutto di tante mie conoscenze. Oggi, quando qualcuno si immerge in una materia, deve conoscerla profondamente affinché avvengano determinate cose”.

Quella svolta dal dottor Cirulli a Castel Noha è una rivoluzione nel campo dell’enologia non solo per gli esperimenti fatti sui vini ma anche perché non è facile, in un territorio dove la tradizione produce solo vini bianchi, impiantare vitigni a bacca rossa. Il suo è stato un colpo di genio, un esperimento da agronomo oppure entrambe le cose: “Nell’orvietano c’erano pochissimi vitigni rossi e in questo terreno c’erano due ettari di appezzamento di trebbiano… L’ho tagliato e l’ho innestato con il merlot e con il cabernet. Ho messo a frutto le mie conoscenze sugli innesti però innestare una pianta giovane è un’azione agronomica che si fa abitualmente; io ho soltanto impiantato questi vitigni che sul territorio erano poco conosciuti e fino a venti anni fa, le cantine della zona producevano 90% bianchi e pochissimi rossi. Tutto questo deriva dalla mia esperienza all’Istituto di Tecnica Agraria dove mi sono occupato di pedologia, dello studio del terreno e di quello dell’irrigazione. 

I primi 50/60 cm del terreno hanno lo stesso macrobiota del nostro intestino, tant’è vero che quando si ara la campagna, si tolgono i primi cm e una volta che il terreno è spianato, quel terriccio si rimette sopra, a coprire. Questo avviene proprio perché tutta l’attività microbiologica è lì, dove ci sono batteri e microbi che digeriscono la sostanza organica per poi trasformarla”.

La sua è un’azienda che produce coltivazioni di tipo biologico e sostenibili ma cosa ne pensa delle monocolture che stanno nascendo e che sono nate qui nell’orvietano e nelle zone limitrofe? “Questo non è un fatto positivo perché andando avanti con il tempo, gli insetti impollinatori ne risentono; loro si devono nutrire e se le piante non hanno un ciclo naturale e un’alternanza, non potranno mai soddisfare le loro esigenze sia nutrizionali sia di riproduzione. Quindi avere una diversificazione è importante, le monoculture vanno bene per estensioni limitate e quando sono esagerate, viene meno il ciclo entomologico”. 

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