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“Guarda che non sono io quello che stai cercando

Quello che conosce il tempo e che ti spiega il mondo

Quello che ti perdona e ti capisce

Che non ti lascia sola e che non ti tradisce”

(Guarda che non sono io – Francesco De Gregori)

Musica. Film. Libri. Il calcio stesso. Anche la cucina, perché no.

Per una volta nella vita, i particolari non fanno la differenza.

Anni fa, probabilmente quando ero appena adolescente, ho imparato una regola che tengo bene a mente e che cerco di non dimenticare mai.

Occorre saper distinguere l’opera dall’autore.

Cerco di spiegarmi meglio, prendendo come esempio una canzone. In fondo la musica, a differenza delle altre “arti” di cui vi ho accennato in precedenza, è l’unica capace di parlare una lingua universale, comprensibile a tutti. Scavalcando differenze culturali, economiche, latitudini ed età. Ha la forza di entrarti dentro con una violenza e con una facilità che poche altre cose al mondo possiedono. Forse l’amore riesce a competere, ma questa è tutta un’altra storia.

Comunque vi chiedo un piccolo sforzo di immaginazione: so che non mi deluderete.

Chiudete gli occhi e cominciate a pensare alla vostra canzone preferita: i primi due accordi di pianoforte. La chitarra che li segue in maniera armonica, magari accompagnandoli con uno splendido arpeggio. Così dolce e potente da riuscire a sgretolare un ammasso di ansia e tristezza che vi costringe il petto da non so quanto tempo. Poi il basso. La batteria in sottofondo che si percepisce appena ma che dà un senso al tutto. Infine il vero main course: la voce del cantante. Il sospiro al microfono immediatamente antecedente alle prime parole. Lo schiocco della lingua sul palato. Il toccarsi di labbra, nella pronuncia di alcune consonanti, che somiglia tanto ad un bacio, talmente è vicino alle vostre orecchie. “La punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo. Li. Ta.” sarebbe intervenuto Nabokov.

E’ perfetta, no? Capace di suscitarvi così tante emozioni e tutte insieme da sfiorare il Divino.

Ecco.

Ci pensate che quella stessa canzone, quella che, per parafrasare Brunori Sas “ti dà la forza di ricominciare/che ti tiene in piedi quando senti di crollare” l’ha scritta e interpretata un essere umano come voi? Con le vostre stesse insicurezze, ansie, preoccupazioni. Con le vostre stesse fisime, i vostri stessi problemi, le vostre stesse passioni.

Una persona comune con la quale, con grande probabilità, se un giorno vi doveste trovare a parlare, finirebbe per deludervi.

Ecco perché occorre sapere distinguere tra opera e autore.

Perché a volte conoscere i nostri idoli non è per niente edificante. Anzi. Frustrante è il termine giusto.

Una canzone, la vostra canzone, un film, un libro, un gol, un piatto saranno per sempre vostri. Cristallizzati. Continuamente pronti a venirvi incontro nel momento in cui ne avete maggior bisogno.

I cantanti, gli attori, i calciatori, i cuochi, invece, no.

Vi faccio questa breve premessa perché questa volta ho fatto davvero fatica a fare questa distinzione. A seguire questa regola che negli anni ho fatto talmente tanto mia da trasformarla in una sorta di tatuaggio sottocutaneo. In una forma di scritta fluorescente nell’anima.

Lo so: il ristorante di cui vi sto per parlare non dovrebbe rientrare nel mio road trip. Ho deciso di parlarvene oggi, per quanto la mia visita sia un po’ datata, per due motivi molto chiari.

Il primo riguarda il futuro dell’Uomo delle Stelle: il mio viaggio non finirà terminata la visita ai tristellati. Proseguirà alla scoperta di locali meno prestigiosi, ma comunque di qualità, da scoprire seguendo il mio istinto e soprattutto i vostri consigli.

Il secondo, invece, ha a che fare con l’attualità: è notizia, infatti, di qualche giorno fa dell’inaugurazione del nuovo locale di Carlo Cracco. Eccellenza enogastronomica italiana, balzata alle cronache e alle pagine patinate di riviste specializzate e non, grazie alla sua partecipazione come giudice nel programma televisivo Masterchef.

Il 21 Febbraio scorso, Cracco ha cambiato location: trasferendosi, comunque sempre all’interno del comune di Milano, da via Hugo alla Galleria Vittorio Emanuele.

Ho visitato il ristorante dello chef vicentino poco prima di Natale, in una delle mie brevi soste in Italia. E chiaramente ho visitato il suo locale prima che si traferisse e qualche giorno dopo aver saputo che la Guida Michelin aveva deciso di revocargli una delle due stelle.

Diciamo che la cosa, non appena entrato nel ristorante, non mi ha sorpreso affatto. Il locale di Cracco è obiettivamente vecchio: dieci, forse quindici anni fa, poteva ritenersi all’avanguardia. Non nel 2018: gli standard enogastronomici si sono decisamente alzati. L’apparecchiatura è ordinaria, le tovaglie scontate, la posateria comune. Tutto molto normale, insomma. Caratteristica riscontrabile anche nei piatti.

Cominciamo con l’amuse bouche: molte tartine, alcune con qualche velleità in più, tipo quelle con le uova di salmone, altre con meno pretese, tipo quelle con la crema di castagne. Mi è piaciuta l’insalata russa croccante: carina nella presentazione ma datata nell’idea. Addirittura retrò. Poi i gamberi di Santa Margherita ligure serviti in due modi diversi: con un pesto e con una crema di basilico e bottarga.

Interessante la carta dei vini: lunga e profonda. Opto per il mio vino preferito: il Matarocchio, Antinori, Tenuta Guado al Tasso del 2011. Parliamo di un rosso dalla rara concentrazione, raffinatezza e complessità. Al gusto setoso e profondo, vanta aromi di cacao, ribes e more che gli consentono di valere ogni centesimo del suo costo.

Passiamo alla tartare di manzo con tartufo bianco e soprattutto il tuorlo d’uovo marinato: il vero fiore all’occhiello della cucina di Cracco, quello che gli ha permesso di diventare famoso. Uno dei migliori piatti mangiati in vita mia.

E’ il momento della faraona al limone con crema di carote, cotta prima a bassa temperatura e poi al forno per darle croccantezza e infine concludiamo con il dessert: crocchette di cioccolato, con salsa di fichi e caviale.

Dopo aver pagato il conto, ricevo l’invito dello chef in cucina. Carlo Cracco è davvero una persona gradevole e ricca di spirito: la chiacchierata con lui è stata molto divertente e istruttiva. Ecco perché ho avuto così grande difficoltà a decretare un voto definitivo. A Cracco darei dieci barbe, ma la sua cucina non ne meriterebbe più di una. Motivo per il quale il mio giudizio finale è di due barbe e mezza.

Chef, spero che la sua nuova avventura nella Galleria Vittorio Emanuele le dia la voglia di tornare a cucinare come faceva un tempo.

 

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