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Oggi è il #carbonaraday! E allora, pronti hashtag e via!

#carbonaraday. Era il lontano 6 aprile del 2016 quando fu lanciata l’iniziativa social da dedicare interamente alla carbonara. L’idea fu di alcuni pastai facenti parte di Unione Italiana Food: raccontare attraverso ricette, video e foto il piatto più romano del mondo. Oggi è diventato un appuntamento fisso in cui il mondo celebra la carbonara.

Ma innanzitutto, la carbonara cosa è? Sì, il piatto che fa tris nella tradizione culinaria romana. Ma è soprattutto nell’oltre che va configurata la carbonara. E dove si trova quest’oltre? Dentro. Dentro l’anima di ogni romano (e non solo!) c’è il bisogno di conforto e protezione che solo questo piatto può dare.

Nel 1954, Alberto Moravia, cita la carbonara nei suoi Racconti Romani:. La scena è quella di un cameriere che osserva il cliente mentre aspetta il suo ordine cogliendolo in quell’unico grande sguardo che solo Moravia sa: “Lui prese la carta come se fosse stata una dichiarazione di guerra e la guardò, brutto, un lungo momento, senza decidersi. Poi ordinò per se stesso tutta roba sostanziosa: spaghetti alla carbonara, abbacchio con patate, puntarelle e alici. Lei, invece, roba leggera, gentile. Scrissi le ordinazioni sul taccuino e mi avviai verso la cucina”. 

Nella sua opera Moravia sappiamo dare voce a un ventaglio di personaggi molto ampio tutti immersi nella realtà romana. E citando la carbonara di fatto in questo racconto dimostra che nel 1954, la carbonara era sicuramente sentito già piatto di quella stessa romanità e leggendo nell’oltre, la carbonara diventa il bisogno di quell’uomo duro di trovare in quei sapori una certa consolazione.

Ora, non è un caso che a Roma nei ristoranti che propongono la cucina tradizionale la carbonara la fa da padrona di casa e anzi è spesso metro di giudizio di quel ristorante. “E certo, – si sentono le obiezioni delle malelingue- quella, la cucina romana, 4 piatti ha!”. Noi rifuggiamo da questa immensa ignoranza, e proviamo invece a capirne di più.

Cose semplici

Partire da quest’asserzione è fondamentale per addentrarci in quell’oltre che vogliamo indagare. La cucina legata alla tradizione è fatta di questo, di cose semplici e da gente semplice; gente che spesso apparteneva alle sfere basse della società. Il fatto che poi, queste cose semplici siano arrivate sulle tavole dei ricchi ma in forme abbellite  dall’aggiunta del tocco (leggasi ingrediente) d’élite, era solo per differenziarne il piatto destinato al nobile, borghese… al ricco, insomma.

Quello che poi è effettivamente successo si può considerarlo come un passo verso quella stessa tradizione, iniziando quell’affannoso cammino che ha portato poi al fenomeno dell’innovazione (termine quantomai abusato nel settore) della stessa.

Per la carbonara, tutto questo forse cade. Collocare la carbonara in un’antica tradizione culinaria romana è abbastanza falso. Partiamo dal fatto che, sebbene prove storiche parlino di pasta con cacio e ova, la stesura di quella che viene definita ricetta ufficiale non c’è almeno fino agli anni ’60. Senza considerare il fatto che ancora in questi anni si citano burro, latte o panna tra gli ingredienti. Ed è solo a partire dagli anni ’70 che la carbonara è presente (più o meno in questa formula) nei ristoranti romani. La Sora Lella negli anni 40 quando apre la sua Trattoria a Campo de’ fiori non la prepara, lo farà solo molti anni dopo. Tra l’altro in pochi la chiamano carbonara, rimandandola al piatto di quello o quell’altro cuoco.

Una storia della carbonara?

Rintracciare il percorso storico della carbonara è quantomeno arduo. Diverse sono le leggende diffuse, chissà, proprio mangiando una grande carbonara. Come quella che vuole una donna ospitare in casa propria gli esponenti della Carbonara (la loggia) e preparare per loro quel gustoso piatto.

Ma poi arriva  quella vecchia storia che trafigge l’orgoglio dei romani.  La carbonara altro non sarebbe che la pasta con pecorino già ampiamente diffusa almeno fino a tutto l’Abruzzo (ma non solo) miscelata agli ingredienti che gli americani portano con il loro sbarco per la liberazione: uova liofilizzate e bacon (la loro razione di cibo quotidiano.

Alberto Ciarla, noto ristoratore racconta che: “La carbonara nacque a Roma nell’immediato dopoguerra, intorno a via della Scrofa, in una piccola trattoria romana, forse in Vicolo della Campana, con ingredienti tipicamente americani. Ero piccolo, ma c’ero. Mia madre, cuoca da tradizioni, non la voleva cucinare perché fatta con ingredienti stranieri, che non ci appartenevano ma erano una necessità di sopravvivenza; si presentarono degli ufficiali americani, stufi di mangiare la razione K e diedero al cuoco uova in polvere e bacon”.

Oggi, facendo una selezione molto dura e chiedendo venia a tutti gli altri, vogliamo raccontare però della carbonara di Arcangelo Dandini. Perché proprio lui? Per tante ragioni ma ci concentriamo solo su tre:

  • è un grande fantasista
  • non mette il pepe
  • non parla della carbonara (che potrebbe insegnarla ai più grandi nomi che si vantano della perfezione) nel suo libro dedicato alla cucina tradizionale romana.
Senza dubbio è suggestiva l’idea dello chef Arcangelo Dandini. Per lui il fumo dell’affumicatura del guanciale sostituisce l’amaro del pepe, spezia, a suo avviso, sopravvalutata per certe preparazioni della cucina romana, di chiaro stampo casalingo e di estrazione povera. E, se i puristi gridano allo scandalo, gli innovatori sposano (o meglio, accettano) la scelta dello chef. Notoriamente il pepe, soprattutto se in eccesso rispetto alla normale (e comprensibile) volontà di insaporire in chiave speziata la Carbonara, non è un ingrediente universalmente accettato da quanti si accostano alla Carbonara stessa.
Ovviamente, c’è chi con l’acqua sporca butta anche il bambino (come si suol dire): e, per evitare la presenza del pepe in grani o in polvere che sia, non utilizza neppure il guanciale. Aiuto! E qui sorge un dubbio legittimo: ma stiamo trasformando la nostra Carbonara in una sorta di “Cacio e ova”? Se così fosse non avrebbe molto senso parlare di Carbonara che, si sa, prevede proprio il guanciale (pepato) come ingrediente primario…
E proprio oggi, nel Carbonara Day, ci sentiamo di dire che accettiamo le varianti “d’autore”, purché il prodotto finito, ovvero la posta alla Carbonara che ci ritroviamo nel piatto ci dia emozione, gusto, piacere. E non vengano tradite le aspettative di chi, pur amando le “rivisitazioni” (termine orribile m che rende l’idea), desidera raggiungere l’apoteosi del gusto con una “Carbonata ortodossa”.

Buon carbonara day a tutti e non dimentichiamo di abbinarlo al vino giusto, seguendo, se volete i consigli della nostra Adriana Blanc!

 

 

 

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