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Da cliente del fine dining, a stagista, a chef: un percorso formidabile che ha portato alla ribalta il ristorante piemontese

Un sorriso dolce e timido che nasconde dietro una grande passione e tanta determinazione. Questa è chef Anna Ghisolfi che abbiamo conosciuto, in una calda sera d’estate, nel ristorante che porta il suo nome e che ha aperto nel 2016. Già dal locale si può iniziare a cogliere la straordinarietà della storia che vi stiamo per raccontare.

Il ristorante si trova all’interno di una chiesa sconsacrata risalente alla fine del 1500, l’Oratorio del Crocefisso, in Via Giulia, pieno centro storico di Tortona. Un ambiente luminoso, suggestivo, con i soffitti molto alti, restaurato in chiave moderna, semplice ma elegante, con la cucina, a vista, collocata nell’abside, dove ogni sera va in scena lo spettacolo culinario di Anna Ghisolfi. 

La storia della location è lunga e attraversa tante “vite”: da chiesa sconsacrata a sede di un cinema, a sala di registrazione musicale che ha ospitato i grandi della musica italiana per approdare, infine, a sede del Ristorante Anna Ghisolfi.

E altrettanto lungo e atipico è il cammino che ha portato Anna Ghisolfi ad essere la chef eclettica e appassionata di oggi. Anna è una persona dalle mille passioni. Proviene da una famiglia di noti imprenditori, e inizia il suo percorso lavorativo laureandosi in lingue e letterature straniere, per aprire, a Tortona, un’agenzia di interpretariato e traduzioni mentre gioca anche a basket, fino a sfiorare la serie A.

La sua profonda passione per la cucina è iniziata da piccolissima quando giocava ossessivamente con il dolce forno ed è cresciuta nel tempo anche quando, più grande, ha messo a soqquadro la cucina di casa per preparare i pranzi alla sua famiglia. E quell’amore per i fornelli non l’abbandona mai.

E così, non appena ha una cucina tutta sua, inizia a dedicare il suo tempo alla preparazione di nuove ricette, tralasciando così le traduzioni.  La sua ispirazione è nei viaggi gastronomici, il vero leit motiv della sua formazione “sul campo”. 

Inizia quindi organizzando lezioni di cucina per la sua cerchia di amicizie; la voce si sparge per tutta la provincia e le lezioni si intensificano, passando da occasioni saltuarie a una/due volte alla settimana. Dagli stessi partecipanti iniziano ad arrivare richieste di cucinare per loro per le occasioni speciali.

Nasce per caso, la carriera della chef Ghisolfi, quando nel 2000, dopo la nascita dell’ultimo dei 3 figli, Anna allestisce la sua cucina professionale e inizia ufficialmente il servizio di catering. È qui che emerge tutto il piglio imprenditoriale, la determinazione di una donna che crede fortemente nella sua passione, e che ancora oggi continua a studiare, viaggiare e lasciarsi ispirare. Perché nella vita non si finisce mai di imparare. 

Ed è proprio la curiosità e la voglia di apprendere nuovi modi di interpretare la cucina che portano Anna e il marito a viaggiare, prima in Italia e poi sempre più anche all’estero, visitando i più rinomati ristoranti nel mondo.

Ai viaggi affianca sessioni a Villa Mozart a Merano con lo Chef Andreas Hellrigl, perfezionando le tecniche di base della cucina, per poi proseguire come stagista presso rinomate cucine come i Santini al Pescatore, il Sole di Ranco da Davide Brovelli,  Gualtiero Marchesi – incrociando Crippa e Knam -, da Claudio Sadler, dai Santin all’Antica Osteria del Ponte a Cassinetta di Lugagnano.

Uno studio continuo da autodidatta, divorando prima libri di cucina, poi quelli di chimica e di alimentazione per arrivare ai testi di ecologia e sostenibilità.

E la cucina che Anna Ghisolfi propone nel suo ristorante non poteva essere che specchio della sua anima, della sua passione, un “continuo colloquio tra i miei pensieri, le mani e i prodotti”, come lei stessa ama dire. 

Prodotti e ingredienti che lei stessa sceglie dai contadini della zona, con cui ha un grande orto condiviso, e che utilizza in maniera diversa a seconda della grandezza e della stagione, per offrire un’esperienza gastronomica che stupisce gli occhi prima che il palato.

E sono proprio le stagioni che disegnano il menu di Anna, i colori lo definiscono nel piatto: a primavera predomina il verde, verso l’estate il rosso e poi il giallo, in autunno l’arancione, il colore della terra, per arrivare, in inverno, al bianco, al gelo della stagione più fredda. Ecco la nostra intervista.

Cosa ti ha fatto scattare la molla di questa passione?

È stato proprio l’arrivo dei figli, e l’opportunità di dedicarmi di più alla famiglia, che ha fatto evolvere una passione sempre esistita, fin da quando ero piccola: cucinare per le persone a cui voglio bene è dimostrare l’amore che ho per loro, un affetto che a parole ho più difficoltà a esprimere. La mia cucina è proprio questo, anche al ristorante, far star bene chi è a tavola.

Hai conosciuto tanti personaggi del gotha della cucina italiana e mondiale. Ma se dovessi dirci il nome di uno chef che consideri il tuo vero mentore o la tua fonte di ispirazione?

Non ce ne è uno solo naturalmente, ma se dovessi dire un nome fra tutti, sarebbe quello di Ferran Adrià perché ha saputo guardare al gusto delle cose insignificanti. Lui dice che “un pomodoro buono è già cucina”, e io ne sono profondamente convinta.

Da cosa ti fai ispirare per creare i tuoi menù stagionali?

I piatti non cambiano sistematicamente per stagione perché i profumi e i sapori cambiano poco per volta. Il mio menu varia con l’aggiunta di qualche ingrediente, si modifica man mano nel corso dell’anno, ma mai radicalmente. Seguo la stagionalità – il parametro che vincola tutte le mie preparazioni – ma introduco ingredienti che sono mano a mano disponibili nei mercati e dai contadini, e con il passare dei mesi, cambia anche l’utilizzo che ne faccio, perché sono gli ingredienti stessi che si modificano, lentamente, nel tempo. La menta selvatica di campagna, per esempio, che uso in alcuni piatti cresce tra i lamponi del mio giardino – spiega Anna. In agosto ha un profumo fantastico e penetrante, mentre a settembre non è più la stessa menta e la uso quindi in piatti e modi diversi. 

Qual è il tuo signature dish, quello che senti proprio tuo? 

Il piatto che sento più mio è il risotto di zucca, nocciola e gocce di passito… sono partita dalla zucca, uno dei miei ingredienti preferiti, che inizialmente doveva essere accompagnata all’orzo, e l’ho trasformato in un risotto che equilibra perfettamente dolcezza e delicatezza.

Ci hai parlato degli agricoltori e contadini locali cui ti rivolgi. Quanto è importante per uno chef crearsi questa “rete” e fare questo sistema? 

La rete di produttori locali è fondamentale: gli agricoltori hanno la competenza sui prodotti, l’esperienza nel riconoscere la qualità del raccolto, la capacità di suggerirmi da dove trarre il meglio… mi assicurano ingredienti genuini e sono parte dell’habitat dove vivo e da cui traggo ispirazione per creare veramente una cucina sana, poco elaborata, dove parla la materia prima.

Qual è la tua opinione in merito alla difficoltà dei ristoratori di trovare personale qualificato, e con la passione per questo lavoro?

La mia è sicuramente una situazione atipica. La mia brigata in cucina tutta al femminile, è composta da donne che non provengono dal classico iter di studi, ma sono state formate direttamente da me. Siamo insieme da diversi anni: Suylen Reyes, Larissa Celak, Oriella Rovina, Rose Paculava sono persone che ho incontrato in contesti diversi da quelli della cucina ma sono rimaste affascinate dal mio progetto, che è diventato anche il loro. La sala è gestita da Tiziana Acerbi, che coordina due giovani camerieri – Angelo e Samuele Bakalli, provenienti dalla scuola alberghiera Santa Chiara, storico istituto professionale del territorio. Per quanto riguarda la questione del personale. Il problema sta nel costo del lavoro e nella mancanza di flessibilità delle leggi italiane. Il personale si troverebbe anche, ma nella maggior parte dei casi i ristoratori non possono permettersi di pagare il giusto o di avere abbastanza dipendenti. Qui è il nodo, riuscire a dare incentivi al settore e far quadrare i conti.

Ma qual è il futuro che Anna vede davanti a sé?

Mi piacerebbe ampliare la mia ospitalità anche ad un albergo, e completare il ristorante con un relais. Sono quei sogni che non costano nulla, ma che ti ispirano e ti spronano ad andare avanti, a guardare al futuro con un progetto. Poi chissà…vedremo!

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