A San Lorenzo, la città di Usini dedica una festa al primo piatto della sua tradizione
La notte di San Lorenzo è dedicata a guardare le stelle ma anche a riscoprire tradizioni ormai perse: è il caso degli andarinos, una pasta fresca che ormai si trova solo nel paesino di Usini, a pochi chilometri da Alghero. Una pasta fatta esclusivamente a mano dalle signore locali con semola di grano duro, acqua e sale. Una forma allungata e intrecciata quasi fosse un fusillo, testimonianza di una Sardegna contadina che oggi trattiene ancora, soprattutto nei paesini più distanti dal mare, il suo spirito genuino.
Grazie ai traffici con i porti catalani e quelli di Genova e Pisa, ne rimangono tracce nel basso Piemonte, a Ovada, dove ancora vengono preparati gli “andarini”, serviti in brodo in occasione delle festività pasquali. In tutta la Sardegna si trova solo a Usini, ed è anche il soggetto anche di un enorme murales che prende tutta la facciata di una casa nel paese. Non è un caso che la festa degli andarinos, giunta alla XX edizione, si trovi all’interno del Festival Internazionale del Folklore, famoso in tutta l’isola dove si balla in costume con canti a tenores, durante il quale vengono aperti i monumenti più importanti della cittadina. Tra questi, Casa Diaz, privata ma visitabile: all’interno della corte si possono ammirare la cantina sotterranea e il frantoio con attrezzature di vinicoltura risalenti ai primi del ‘900; Casa Derosas, antico palazzo signorile, oggi sede di un importante centro documentale di fine del’800, un tempo abitazione di Achille Derosas, uno dei principali proprietari terrieri del paese e primo sindaco di Usini; la chiesa campestre di San Giorgio di Oleastreto, appartata e suggestiva, oggi cinta da greggi di pecore.
Ma come si fanno gli andarinos? Nessun procedimento meccanico: questa pasta è preparata ancora rigorosamente a mano. Una volta mischiati gli ingredienti, il composto così ottenuto, elastico e omogeneo, viene assottigliato e poi frammentato in listelli di tre o quattro centimetri, quindi premuti su una superficie rigata e fatti roteare con tre o quattro movimenti rapidi e calibrati del polpastrello, che conferiscono al prodotto finale una forma elicoidale. Gli andarinos vengono decorati con delle rigature a rilievo, ottenute grazie alla pressione esercitata sulla superficie di un vetro rigato o di un “chiliru” di giunco o di asfodelo. Ancora oggi, terminata la fase della lavorazione, la pasta fresca viene essiccata, esponendola al sole per alcune ore, stesa sui “canistreddos”. Gli andarinos essiccati si devono poi cuocere per venti minuti in acqua salata e si condiscono con un “ghisadu” di carni miste (pecora, manzo e maiale) e con una grattata di pecorino sardo. Un altro consiglio per il sugo è quello di cinghiale, che spesso si trova nei boschi dei villaggi più interni della Sardegna.