Nato e cresciuto nel cuore della Capitale, tra i più bravi e conosciuti d’Italia, il barman romano ha fatto molta strada prima di approdare al Jerry Thomas Speakeasy
Un vero e proprio frontman. Non stiamo esaltando un nuovo cantante pop, pronto a far parlare di sé dopo aver venduto migliaia di dischi ma di Alessandro Procoli. Un’artista anche lui ma nel miscelare tra loro i liquori più disparati. Dopo l’avventura dell’Insane, locale aperto ad inizio anni 2000, uno dei barman più bravi e conosciuti d’Italia, ha deciso di partire per gli Stati Uniti. Al suo rientro è esploso l’amore per il Jerry Thomas ed è arrivata anche la vetrina della Tv. Ma perché dobbiamo raccontarvelo noi, quando possiamo farci narrare tutta la storia dalla sua viva voce?
Alessandro, la sua carriera inizia a Roma alla fine degli anni ’90…
“Esatto. Nella Capitale c’era un gran fermento intorno a questo nuovo modo di bere. E c’erano bei locali. Le ricette dei cocktail erano più basiche e molte delle idee ruotavano intorno al concetto di american bar. Sono partito da zero ma con il tempo ho acquisito la manualità e le conoscenze. Nel 2002 ho aperto l’Insane, un locale che ha avuto una grande importanza: uno street bar ispirato agli anni del proibizionismo. Poi per un periodo ho deciso di partire per l’America, ma questa è un’altra storia”.
Come nasce l’avventura del Jerry Thomas?
“Quando sono tornato in Italia, Leonardo Leuci insieme ad Alberto Blasetti e ad Antonio Parlapiano mi hanno coinvolto in questo progetto, che inizialmente era riservato solo agli addetti ai lavori. Il Jerry Thomas apriva molto tardi: era frequentato dai barman che avevano staccato dal lavoro. Al suo interno si sperimentava e ci si confrontava. Questo progetto ha introdotto in Italia il concetto di Speakeasy”.
La mixology è sempre più al centro dell’attenzione. Lo vede come un fattore positivo o negativo?
“Credo semplicemente che sia nella natura delle cose: è già successo con il vino e la birra. Questa attenzione sta portando la clientela ad essere sempre più numerosa e preparata, il che è un bene. Anche se di contro, tutto questo rende la gente molto più esigente”.
Lei ha contribuito a rendere mediatica l’arte della miscelazione…
“Sì, con il programma Bartendency. Un progetto, legato ad un brand di liquori, che ha funzionato ed è stato molto seguito. Essendo un contest tra barman, ho avuto l’opportunità di selezionare ragazzi bravissimi”.
Qual è il suo cocktail più riuscito?
“Sicuramente l’Improved Aviation: c’è London Dry Gin, sciroppo fatto in casa aromatizzato alla lavanda, crème de violette, succo fresco di limone, bitter alla rosa canina autoprodotto. È nel menù del Jerry Thomas da 10 anni e, visto il successo, ci rimarrà ancora per molto”.