Editoriale di luglio-agosto
Editoriale. Da mesi covava sotto le ceneri una bomba, che poi è esplosa. Il problema del personale nella ristorazione è scoppiato in tutta la sua drammaticità, aiutato da certi venti mediatici dal sapore assistenzialistico. Già, perché lavorare? Che bisogno c’è? Sembra che formazione, passione, esperienza, valori indispensabili per diventare professionisti, siano stati accantonati.
O percepiti come assolutamente inutili. E da che cosa nasce allora la società del futuro? Dal reddito di cittadinanza?
O da internet che grazie all’uso smodato dei social trasforma tutto in virtuale?
È come se nemmeno la cosiddetta “arte di arrangiarsi”, che in un modo o nell’altro esprimeva la volontà tutta italiana di andare avanti, mettendosi continuamente in gioco, abbia lasciato spazio alla misera arte di sopravvivere.
In questo momento complesso, nel quale ogni giorno lavoriamo per offrire contenuti di livello, stimolando riflessioni e decisioni, è come se qualcuno volesse cinicamente affermare la supremazia del nulla. Mentre noi ci interroghiamo sul futuro della ristorazione contemporanea, qualcuno vorrebbe sostenere la assoluta inutilità dell’impegno, facendo prevalere il nullismo (che poi è una forma di bullismo verso chi crede nel fare).
Come se il pauperismo, con il suo carico di mediocrità, dovesse essere accettato in nome di un appiattimento verso il basso. No, non ci avrete. Sopravvivere non ci piace, noi siamo dalla parte di chi fa, di chi sa fare, sa far fare, sa far sapere. La nostra visione non si ferma all’ovvio, non si accontenta. Per questo ci piace seguire le nuove tendenze della ristorazione: dalla cucina vegetale, che lavora nel segno dell’equazione “gusto-salute”, fino al recupero originale delle tradizioni delle vere cucine dei territori, fino al valore supremo dell’attenzione sincera all’ospite. Concetti da sostenere con motivazioni e passione, non certo con una finta social security che alimenta solo insicurezze, sociali e personali.